(Ma)LA GIOSTRA

Comincia l’anno nuovo, ma certe cose non cambiano mai.

Siamo stati accompagnati in queste feste dai bollettini di guerra provenienti dal Medio Oriente, dalla Palestina, da Israele. Tanto per cambiare.

Se facessimo un’indagine statistica per rilevare su base annua quante volte i giornali o i telegiornali di tutto il mondo aprono le loro prime pagine parlando della questione israelo-palestinese, credo che si arriverebbe ad una percentuale prossima all’80% se non di più.

E ogni volta, le solite reazioni, a favore di una parte o dell’altra.Va tutelato il diritto di esistenza di Israele -e quindi il suo diritto a difendersi. Va tutelato il diritto dei palestinesi di avere anche loro uno Stato, di non essere costretti a vivere in condizioni di semi-reclusione all’interno di una stretta striscia di territorio, i cui accessi sono tuttavia controllati e regolati (oggi iapru, dumani no) da un altro Stato. E’ un po’ come se l’Italia regolasse e controllasse chi e cosa entra o esce dalla Repubblica di San Marino.

Non voglio entrare però nei dettagli né dare giudizi a favore di una o dell’altr parte in una vicenda storica molto dolorosa, una tragedia segnata da uno stillicidio quotidiano di attacchi, contrattacchi, bombardamenti aerei, esplosioni kamikaze, che accompagna il mondo oramai da più di 60 anni. 60 anni!

Quale guerra, quale conflitto, quale grave crisi, nella storia moderna dell’umanità ha avuto questa durata? La risposta è, putroppo, una sola: nessuno.

Sono stati interpellati tutti o quasi tutti i maggiori esperti  (o presunti tali) della questione mediorientale; più volte si è arrivati ad accordi firmati sulla carta ma mai completamente rispettati dalle parti in causa che hanno invece continuato a rimpallarsi le responsabilità:chi è stato il primo a non rispettare i patti? Gli israeliani? No, i palestinesi. I palestinesi? No, gli israeliani.

 Tante volte, se ci fate caso, si parla di “crisi in Medio Oriente”. Ma la crisi è un fenomeno temporaneo, dovuto ad un passaggio da una fase all’altra di un qualunque fenomeno. Comunque la crisi, per definizione, ha durata limitata. In questo caso non è corretto parlare di crisi, una crisi non può trascinarsi per più di 60 anni. Si tratta piuttosto di una vera e propria guerra.

Ieri, Edward Luttwak ha spiegato (dal punto di vista israeliano) al Messaggero, ha definito lo scontro in corso “un conflitto locale“. Non mi sembra proprio!

Se fosse un “semplice” conflitto locale, non ne parlerebbe nessuno, o quanto meno se ne parlerebbe sporadicamente, come purtroppo accade per i tanti, troppi conflitti locali in corso per tutto il pianeta, caduti nel dimenticatoio.

Non ci sarebbero più prime pagine, titoloni, analisi, parole, parole, parole…

No, è un conflitto “mondiale”, perchè tutti ne parlano, perché tutti, per diversi aspetti (culturali, politici, religiosi, economici) ne sono coinvolti.

E’ solo un maledetto rincorrersi nel darsi la colpa. Una tragica giostra che continua a girare e -ad ogni giro- non porta sorrisi o gioia, ma fa cadere dai seggiolini chi non riesce ad aggrapparvisi, i più deboli, primi fra tutti molti bambini, palestinesi ed israeliani.

 Sono stanco di vedere i loro volti pieni di paura; i loro occhi gonfi di lacrime; i loro sguardi pieni di angoscia; le loro ancora fragili mani impugnare armi micidiali, primo passo verso quella cultura dell’odio che fin qui ha avuto la meglio. Possibile che non ci sia una soluzione?

La soluzione c’è, ed è solo una. Che le parti interessate -stimolate, aiutate e, se necessario, costrette dalla comunità internazionale-  siedano attorno a un tavolo, dove vengano esposte non le ragioni di ciascuno, ma solo le foto, le immagini di quei bambini innocenti.

Solo così, i responsabili delle due parti in lotta si ricorderanno di essere anche loro padri, madri o nonni di bambini ai quali rischiano di consegnare un futuro fatto solo di odio, di inutile violenza, di morte.

E che vi rimangano a quel tavolo, fino a quando non troveranno la forza ed il coraggio di dire basta alla violenza e si convincano che l’unica strada possibile è quella di rinunciare a qualche attuale pretesa, per avere entrambi qualcosa di più grande ed unico.

Ecco, l’augurio più bello che possiamo fare è che  i bambini di Israele e di Palestina possano giocare insieme felici  e fare un giro sulla stessa giostra: la giostra della pace.