Fine Metafisica

Passeggiavo tra le rovine con il sole acido del tramonto. Il cielo ormai verde iniziava a sfumare nel giallo. C’era un manichino senza volto che pensava a bassa voce, seduto su un’antica colonna adagiata sul parquet. La sua ombra era lunghissima. Mi sedetti al suo fianco e lui improvvisamente si voltò dicendo: “L’immaginazione vera non è propria del sogno”. Fece una breve pausa e continuò: “I sogni sono figli dei ricordi correlati per casualità. L’immaginazione della ragione invece è la vera creazione, Volontà pura della Rappresentazione”. Poi si tracciò sul viso bianco due linee che si incontrarono formando una spirale e mi disse: “Adesso capisci perché sono qui e perché devo andarmene”. Si alzò sorretto da due squadre di legno e si incamminò verso la sua ombra. Rimasi ad osservarlo finché non sparì nell’orizzonte. A quel punto lentamente capii quelle parole tessute tra le due linee. Dovevo volere ciò che era rappresentato dietro le cose. Mi alzai per andare in cerca di quella suprema Volontà e mi avviai lungo la strada. I palazzi dalle sembianze grandangolari erano di interminabili prospettive che consciamente mi indicavano il cammino. Seguii quelle guide ed arrivai ad una piazza. Il parquet luccicava sotto i raggi del sole e amplificava delle voci animate che provenivano da lì vicino. Mi voltai e sotto il Castello Estense vidi un manichino ed una statua che discutevano in silenzio. Garbatamente mi avvicinai e chiesi indicazioni per la Volontà. La statua mi rispose: “Vedi la mia mano, indica da secoli una fabbrica”. Mi voltai e notai delle ciminiere sbuffanti oltre il castello, dall’altro lato della piazza. “È lì che devo andare?” risposi non troppo convinto. A quel punto intervenne il manichino che era stato in disparte per tutto il tempo: “Quella è l’unica via per raggiungere la Volontà, ascolta la saggia statua”. Mi voltai scettico e feci per andarmene quando il manichino mi richiamò prima che potessi fare un passo e mi disse: “Questo è un regalo della tua Rappresentazione”. Raccolse dal parquet un cubo colorato e me lo mise in tasca. “Porgilo alla Volontà se la trovi”. Ringraziai entrambi e mi incamminai verso le alte fornaci. La fabbrica era dipinta su un quadro appoggiato ad un cavalletto, situato in una stanza degli edifici grandangolari. Entrai e notai l’ordinato disordine di oggetti contenuti da linee, sparsi dappertutto eppure catalogati. Fuori dalla finestra il cielo era ormai rosso scuro. Percorsi il corridoio del palazzo per circa un’ora di lunghezza finché non trovai un’altra stanza aperta. Bussai ed entrai silenziosamente. Nel centro c’era un signore ricoperto di fiammeggianti pensieri bianchi che lo divoravano. “Salve, sono in cerca della Volontà delle cose, sa dirmi dove posso trovarla?”. “Salve!”, mi rispose emergendo parzialmente dai sui pensieri ardenti, “Sono il Meditatore, abito questa stanza e questa poltrona per puro intelletto. Nella mia fabbrica lavorano gli Archeologi dei ricordi. Chiedi a loro, io non posso darti altro che questa risposta”. Poi tornò ad ardere nel suo fuoco bianco. Tornai nella stanza ed entrai nella fabbrica del quadro. Oltrepassato l’enorme ingresso tutto sembrò tornare a misura d’uomo. C’era un salone circondato da finestre con al centro due statue di marmo dipinte ad olio che lavoravano abbracciate l’un l’altra su rovine di antichi ricordi. Erano senza volto ma riuscivano a trasmettere una mimica senza precedenti. “Siete voi gli Archeologi?” chiesi rispettoso. “Sì, siamo gli Archeologi dei ricordi, sappiamo ogni cosa del passato, per noi il presente non esiste”. Tirai fuori dalla tasca il regalo della mia Rappresentazione e dissi: “Sapete dove posso trovare la Volontà? Devo portarle un regalo”. Lo mostrai ad uno dei due che lo osservò e poi, dopo una piccola ricerca, mi disse impassibile: “È nella tua memoria, è l’antico gioco della Rappresentazione. La Volontà sarà felice di ricongiungersi ad esso. Noi però non sappiamo dov’è la Volontà perché non possiamo vedere al di là delle cose. L’unico che può farlo è il Grande Metafisico, il signore di tutte le cose possibili, che dimora nella piazza tra il Senso e l’Intelletto, il mito che riunisce la loro antica unità”. Poi mi diede una squadra di legno e mi disse: “Vai dal Grande Metafisico, raggiungi quella piazza alla fine della strada e mostragli la squadra, lui capirà”. Lo salutai ringraziandolo di cuore ma notai l’espressione triste del suo viso inesistente. Uscii felice ma turbato e corsi all’impazzata lungo la via. Sotto ai palazzi c’erano tanti mobili e divani sparsi sulla strada che attendevano di essere caricati su dei carri per un trasloco. Ero curioso di sapere chi se ne andava ma la voglia di vedere il Grande Metafisico era troppo forte. Arrivai nella piazza e, davanti ad una chiesa, vidi una statua antropomorfa immensa, un colosso di forme uguali e diverse allo stesso tempo, piena di contrasti e contraddizioni. Era lui, il Grande Metafisico. Finalmente ero al suo cospetto. Senza dire una parola gli mostrai la squadra ed il gioco e lui esclamò: ”So perché sei qui, il tuo cammino è ormai compiuto. Siediti alla mia ombra e trasforma in parole i tuoi desideri”. “Grande Metafisico”, dissi rilassato, ”Sono venuto a cercare la Volontà suprema per porgerle il suo antico Gioco della Rappresentazione ma da solo non riesco a trovarla. Per favore, dimmi dov’è”. La possente statua sorrise comprensiva e mi sussurrò: “La Volontà è sempre stata dentro quel gioco che stringi nella mano perché la Rappresentazione non è altro che l’espressione della Volontà”. Scosso, osservai meglio quell’oggetto e dietro quei colori di precisione geometrica capii finalmente il perché dell’Esistenza. E in quel preciso momento il mio soffio vitale si spense. Morii nel letto di un ospedale.

Livio De Mia
8×8


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