Il Partito liberale italiano s’appella all’Europa per ristabilire pienamente la sovranità popolare


Un ricorso di Mauro Anetrini, avvocato liberale, ha posto alla Corte europea dei diritti dell’uomo il problema della compatibilità con il principio di scelta libera, consapevole ed incondizionata del sistema delle “liste bloccate” introdotte dalla legge Calderoli per l’elezione di Camera e Senato.

Scilla (Italia), 15 giugno 2009

Ebbene, sì: il Partito liberale italiano esiste ancora!
I più giovani forse non ne hanno mai sentito parlare. Ma i libri di storia devono ancora rendere pienamente giustizia ad un movimento politico – e, soprattutto, ad un’idea – che, pur non comprendendo fino in fondo, sia prima sia dopo il fascismo, l’importanza del rapporto diretto e dialogico e non di sovraordinazione-subordinazione fra gl’intellettuali e i politici, da un lato, e le masse, dall’altro, ha tuttavia avuto l’incontestabile merito di testimoniare ed insegnare al popolo italiano che la democrazia non è una sorta di “gara” nella quale vince chi sa urlare di più, carpire meglio il consenso delle fasce economicamente o culturalmente meno attrezzate della società o riempire le piazze a suon di parole d’ordine violente e demagogiche. No: i liberali hanno insegnato agl‘Italiani che democrazia – la democrazia liberale appunto – vuol dire anche senso del limite; rispetto per il necessario pluralismo politico ed istituzionale; valorizzazione delle minoranze parlamentari, linguistiche, sociali etc. ; costante prevalenza della forza del diritto sul diritto della forza…
E’ nel solco di questa nobile tradizione – la cui incidenza sulla storia e, perfino, sull’attualità italiana è incommensurabilmente superiore a quella ricavabile dal modesto consenso elettorale goduto dal Pli che fece parte dell’Assemblea costituente e dei Parlamenti repubblicani eletti fra il 1948 e il ’92 – che s’inserisce il ricorso presentato, alla vigilia delle elezioni politiche anticipate di quattordici mesi fa, sotto le insegne liberali, dall’avvocato Mauro Anetrini.
Dopo un vano tentativo di adire la Corte costituzionale italiana attraverso la modalità del “conflitto d’attribuzioni fra poteri dello Stato”, i liberali si sono dunque rivolti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, assumendo che l’attuale sistema elettorale di Camera e Senato – riguardo all’impossibilità di esprimere almeno una preferenza per uno dei candidati della lista prescelta dall’elettore – violi, oltre che quelli della Costituzione italiana, anche i principi posti dalla Convenzione che diede vita all’organismo sovranazionale.
Per i proponenti, infatti, la sovranità popolare ed il carattere uguale, libero e diretto di ciascun voto si riducono a ben poca cosa se l’elettore non è chiamato a far altro che a determinare gli equilibri fra le varie forze politiche in competizione senza poter incidere minimamente sulla scelta del personale parlamentare, interamente affidata alla discrezione dei detentori del potere reale interno a ciascun partito. E tale potere, come si sa, è in mano ad un’unica persona o, al massimo, ad una ristrettissima oligarchia di persone. L’interpretazione restrittiva dell’articolo 49 della Costituzione (l’obbligo di adottare un “metodo democratico” d’agire da parte di ciascun partito), infatti, non ha consentito l’adozione di un sistema che “obbligasse” ciascun partito a dotarsi di una struttura interna effettivamente democratica, soprattutto con riguardo al momento della compilazione delle liste dei candidati a far parte delle assemblee legislative. Tale accezione “debole” del principio costituzionale del “metodo democratico” conosceva tuttavia un, almeno parziale, bilanciamento nel fatto che – fra il 1946 e il ’92 – l’elettore era messo in grado di scegliere a chi, fra i candidati della lista prescelta con il voto, dare la propria preferenza con la possibilità, almeno teorica, di “sconvolgere” l’ordine d’importanza dettato dalle segreterie. Lo stesso bilanciamento, sia pur attraverso una differente modalità, poteva dirsi salvo anche con l’adozione del sistema dei collegi maggioritari uninominali per le elezioni fra il 1994 ed il 2001. Pur dovendo, infatti, l’elettore, con la scelta della lista, dare il proprio voto all’unico candidato presentato dalla lista medesima, l’arbitrio delle segreterie era comunque mitigato dalla forte difficoltà di proporre un candidato ritenuto – per un motivo o per l’altro – “impresentabile”, in quanto questo candidato sarebbe stato immediatamente riconoscibile dall’elettore del collegio, col rischio che quest’ultimo, pur desiderando la vittoria, a livello nazionale, di un polo piuttosto che un altro, rinunciasse a sostenere il polo medesimo per insanabile dissenso con la scelta del candidato del collegio.
Nessuno dei due temperamenti allo strapotere delle segreterie dei partiti può dirsi operante nell’attuale legge adottata nel 2005 ed applicata nelle elezioni del 2006 e del 2008. Oggi come ieri e come ieri l’altro, infatti, il potere di formare le liste rimane in mano agli apparati interni dei partiti. Ma, a differenza di ieri e di ieri l’altro, oggi l’elettore non può incidere neanche in minima parte sull’estensione di tale potere. L’attuale sistema, ricordiamo, ha una base proporzionale con vari correttivi maggioritari. Il territorio nazionale è suddiviso in una o più circoscrizioni per ogni Regione, per l’elezione della Camera; mentre per l’elezione del Senato ciascuna circoscrizione elettorale coincide con quella di ciascuna Regione. I parlamentari assegnati a ciascuna circoscrizione (tralasciando in questa sede il tema delle “soglie d’accesso” e dei “premi di maggioranza”) sono dunque eletti sulla base dei voti di ciascuna lista seguendo esclusivamente l’ordine di presenza in lista di ciascun candidato. Ciò significa che la stessa parola “candidato” perde il suo significato di “possibile eletto” assumendo quello di “sicuro eletto”, se presentato in testa alla lista di un medio-grande partito, ovvero, addirittura, quella un po’ truffaldina (per l’elettore) o autoironica (per il candidato) di “sicuro non eletto”, se presentato in fondo alla lista.
Il ricorso – la cui trattazione potrebbe essere ammessa in queste settimane – chiede alla Corte europea di riconoscere l’illegittimità di questa situazioni.
I rimedi ad essa, comunque riservati al legislatore italiano, possono essere scelti fra tre. Ripristino delle preferenze. Ripristino dei collegi uninominali. Ovvero mantenimento delle liste bloccate ma associate ad un sistema analogo alle “elezioni primarie” che consenta di anticipare la partecipazione popolare alla scelta dei membri del Parlamento nazionale al momento della compilazione delle liste.

Giovanni Panuccio
giovannipanuccio.blog@gmail.com


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