L’anima ai signori delle arance

Dodici ore di lavoro per poco più di venticinque euro: tanto vale un africano assoldato dai signori delle arance. Ma nella Piana di Gioia Tauro, il fulcro del mercato calabrese degli agrumi, c’è chi si ostina a non ascoltare i richiami all’ordine.

Mattoni e cemento. Siamo nella Piana di Gioia Tauro, provincia di Reggio Calabria, il nocciolo della raccolta delle arance per il mercato calabrese. Qui, nella cartiera dismessa di San Ferdinando, il 2 settembre scorso i Commissari Prefittizi del Comune hanno dato disposizione a sbarrare l’accesso all’ex fabbrica Modul System per l’inagibilità del sito. Una giornata di lavoro pagata a un manovale e la pratica della Cartiera è stata archiviata. Questa è la Piana, così le istituzioni attuano la loro politica di integrazione degli oltre duemila africani che sbarcano in Calabria per la stagione degli agrumi. Ma i mattoni e il cemento altro non rappresentano se non l’ultimo degli schiaffi presi in pieno volto da questo popolo. Nel triangolo della manifesta illegalità, tra i campi di Rosarno, San Ferdinando e Rizziconi, nei luoghi della vergogna della Cartiera, della Rognetta e della Collina, ciclicamente, tra novembre e febbraio, un intero flusso migratorio proveniente dall’Africa sub-sahariana e occidentale viene dirottato verso la schiavitù che si perpetua alla luce del giorno. Sono ghanesi, marocchini, ivoriani, maliani, sudanesi. Il loro percorso è fatto di sofferenze atroci, patite prima nei porti d’imbarco della Libia, dell’Algeria e della Tunisia, e successivamente nel quotidiano di una terra che li ‘ospita’ solo per darli in pasto alla massacrante manodopera dei campi. Sveglia alle quattro del mattino, adunata nelle piazze e negli incroci dei paesi, dodici ore di lavoro per una paga massima di venticinque euro. Guai ad alzare la testa al cospetto delle cosche mafiose che controllano il sistema. Due ragazzi ivoriani lo sanno bene. Nel dicembre del 2008 avevano provato a reagire al racket delle braccia. Gli hanno sparato, fortunatamente solo ferendoli. Nessun margine per il dialogo, ma la protesta versatasi nelle strade nei giorni che hanno seguito l’attentato ha costretto la politica a fare qualcosa. La Regione Calabria ha confezionato un intervento umanitario coinvolgendo la protezione civile, la Croce Rossa e la Prefettura di Reggio Calabria e varando un ddl in materia di accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Dei cinquantamila euro stanziati, sinora ne sono stati spesi quindicimila per l’insediamento di bagni chimici alla Cartiera e alla Rognetta, per la bonifica dei siti e per due cisterne da quattromila litri alla Collina, tra Rosarno e Rizziconi. Ma i casolari fatiscenti dove trova alloggio buona parte di questa gente non sono cambiati affatto: mancanza di acqua potabile, di luce e gas, tutela delle basilari condizioni igienico-sanitarie praticamente inesistente, mentre ancora non si sa come verrà impiegata la restante parte dei fondi, considerato l’immobilismo cronico dei comuni interessati che non hanno rendicontato le spese sostenute, passaggio necessario per poter accedere all’erogazione delle tranche successive. Intanto la violenza continua a fare il suo corso. Il 19 luglio è scoppiato un incendio alla Cartiera di San Ferdinando. I circa cinquanta ragazzi che ci abitavano hanno trovato riparo in alloggi di fortuna. Sono testimoni del ritardo eccessivo dei soccorsi e poco convinti che il Comune di Rosarno costruirà delle aree ad hoc come promesso. Quello che si sa di queste storie lo si deve a chi, incurante dei rischi e dei richiami all’ordine, prosegue convinto per la strada dell’informazione. Dopo il ferimento dei due giovani ivoriani, nel dicembre scorso è nato l’Osservatorio Migranti. «Abbiamo fondato l’Osservatorio – afferma Giuseppe Pugliese, membro del direttivo – il giorno stesso della pacifica e civile manifestazione degli africani di Rosarno. Contemporaneamente abbiamo fondato un sito internet, www.africalabria.org, e un gruppo su facebook che abbiamo chiamato “Gi africani salveranno Rosarno”. Il nome potrebbe sembrare provocatorio, ma non lo è affatto, vista la dimostrazione di civiltà e legalità che hanno dato alla città e a tutto il paese: semplicemente si sono ripresi lo spazio che insensibilità e ignoranza quotidianamente gli negano, ma soprattutto hanno fatto una manifestazione a seguito di un episodio delittuoso verificatosi in un contesto criminal-mafioso, mettendo in atto una vera e propria processione verso la caserma dei carabinieri di Gioia Tauro per rilasciare dichiarazioni spontanee con le quali hanno contribuito all’individuazione del presunto aggressore. Un vero e proprio movimento antimafia, quindi, in una terra dove l’inaccettabile è diventato ormai consueto». Ce ne vuole di coraggio per stare nel mezzo, quando anche gli occhi di parte della società civile preferiscono guardare a terra piuttosto che incrociare la realtà. Il razzismo mafioso e il silenzio che persistono da almeno quindici anni vengono contrasti attraverso l’organizzazione di manifestazioni di sensibilizzazione, consulenze legali gratuite, il contatto diretto con i ragazzi e l’avanzamento di proposte concrete alle istituzioni. A Giuseppe chiediamo come giudica l’operato delle istituzioni e degli enti coinvolti. «Nel rispetto dei ruoli e delle competenze – risponde – la Regione ha stanziato cinquantamila euro, grazie ai quali i Comuni di Rosarno, San Ferdinando e Rizziconi hanno potuto realizzare alcuni interventi migliorativi sull’esistente. Si è fatta inoltre promotrice della campagna di vaccinazione, realizzata dall’Asp e dalla Protezione Civile. Medici senza frontiere fino a due anni fa gestiva l’ambulatorio Stp, che successivamente è stato preso in carico dall’Asp. Quest’anno era presente lo staff degli “stagionali”, che segue i migranti nei loro spostamenti in cerca di lavoro nell’agricoltura nelle varie regioni del sud Italia. Il loro lavoro è stato prevalentemente di informazione e studio direttamente sui migranti, oltreché politico, nel senso che hanno proposto un protocollo d’intesa con la Regione, sulla falsa riga di quello che è avvenuto in Puglia. Ma dal punto di vista “sociale” non è stato registrato alcun intervento». La verità che emerge è quella che tutti sanno: c’è bisogno di una spinta maggiore. «L’ostacolo principale – prosegue nella propria analisi Giuseppe – è costituito dal fatto che la maggior parte degli immigrati sono irregolari, condizione questa che permette di operare prevalentemente nell’ambito dell’emergenza umanitaria. Tuttavia gli interventi realizzati non sono ancora in linea con le convenzioni internazionali». L’Osservatorio è parte attiva della Rete Migranti, costituitasi a Reggio Calabria in occasione della giornata internazionale del rifugiato del 20 giugno e di cui fanno parte realtà associative della città e della provincia. Quello che chiedono è che vengano destinate aree attrezzate ai migranti, che si spendano i fondi destinati dalla Regione in modo trasparente ed effettivamente utile, che si convergano gli sforzi della società civile, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni per un sostegno umanitario, legale, sanitario e per fare pressione e controlli sui fondi stanziati. Qualcuno, nella possibilità che gli africani salveranno Rosarno e la Calabria, ci crede davvero. Ciò che è certo è che il sistema non si arresta. Tra meno di sessanta giorni si torna nei campi: venticinque euro al giorno per vendere l’anima e la dignità ai signori delle arance.
Articolo pubblicato sulla rivista Altri, anno VI, numero 6, novembre/dicembre 2009


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