Leggera brezza estiva: caffè con Enrico Berlinguer

La prospettiva milanese stravince sulla chiamata europea alle urne. Meglio così. Il soggiorno in riva ai navigli si sta rivelando piacevole: bella compagnia, birra e, in serata, la possibilità di ascoltare buona musica dal vivo. Sdraiato sul sofà in cucina, sfoglio Internazionale n. 798, facendomi delle grasse risate nel constatare quanto e come il mondo pigli a pesci in faccia il nostro primo ministro. Gli schizzi che ritraggono l’harem sardo di Silvio sono esilaranti, tanto quanto la cruda coscienza politica del nostro Paese che al premier garantirà un nuovo plebiscito al termine di queste anonime consultazioni. Riprendo fiato e passo all’articolo di pagina 28 e 29. Il pezzo si intitola “Il coraggio di Berlinguer”, lo ha scritto lo storico britannico Paul Ginsborg, professore di storia dell’Europa contemporanea all’Università di Firenze, ed è stato letto alla camera dei deputati il 21 maggio scorso, in occasione della commemorazione di Enrico Berlinguer organizzata dal Partito democratico. Dopo averlo letto con cura, mi rendo ancora meglio conto della mia insofferenza rispetto al gioco politico attuale, del quale non rispetto né le regole né gli attori in contrapposizione. E penso, soprattutto, ai simboli nuovi della sinistra italiana: cocci di un vaso rosso intenso degli anni Ottanta frantumato al suolo.

Tra le voci internazionali che negli anni settanta criticarono il modello di modernità capitalistica, una delle più alte e intelligenti fu quella di Enrico Berlinguer. Nelle sue conclusioni al convegno degli intellettuali del 15 gennaio 1977, Berlinguer sostenne la necessità di abbandonare “l’illusione che sia possibile perpetuare un tipo di sviluppo fondato su quella artificiosa espansione dei consumi individuali che è fonte di sprechi, di parassitismi, di privilegi, di dissipazione delle risorse, di dissesto finanziario”. Nel 1983, al sedicesimo congresso del Pci, in un discorso che per molti aspetti rappresentò il suo testamento morale e politico, tornò sui temi dello spreco, del consumo e del declino: “La società capitalistica contemporanea ha prodotto e produce sempre più un inaridimento dell’uomo… una spinta esasperata al consumismo individuale, alla avidità di denaro, di successo, di potere, considerati il fine primo dell’esistenza umana”. Di fronte a queste tendenze Berlinguer propose una nuova austerità, concepita non in termini di un angusto puritanesimo, ma come l’accettazione generale del bisogno di invertire le principali tendenze della società moderna, eliminando le distorsioni più vistose. L’austerità era “rigore, efficienza severità”, ma mirava a creare una società più giusta, meno diseguale, relativamente più libera, più democratica, più umana”.


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