A REGGIO SI SEMINA CULTURA – UNHEIMLICH di Kreszenzia Gehrer

 

Vi segnaliamo una mostra di pittura molto interessante, dal titolo UNHEIMLICH, personale di Kreszenzia Gehrer, giovane artista reggina, in corso di svolgimento fino al prossimo 24 Gennaio presso il sito archeologico di Piazza italia a Reggio Calabria.

La mostra è inserita nell’ambito del progetto SEMI DI CULTURA -“UNDERGROUND”, promosso e organizzato dall’associazione “SOS Beni Culturali”.

Abbiamo assistito ieri all’apertura della mostra e dobbiamo dire che “l’evento spaziale” costituito dalla mostra in sè, si integra e si fonde –rimanendo però sé stessa, cioè opera d’arte- alla particolare “location” costituita dal sito archeologico di Piazza Italia.

Proprio là sotto, nelle “viscere” della terra, “nella dimensione del radicamento” viene rappresentata, perché vi abita, “l’intrusione, lo spaesamento, lo sradicamento, quel paradossale contro-movimento tellurico che lascia “senza patria”.

E lo spaesamento, lo sradicamento, che spesso si provano anche in ciò che ci è familiare, portano “il senso dell’inquietudine, dell’estraneità del sinistro e del pauroso” cioè dell’UNHEIMLICH fisicamente rappresentato in maniera molto efficace dal sottosuolo.

Ecco la presentazione della mostra, nelle parole del filosofo Gianluca Romeo:

Altra da sé – Unheimlich-Kreszenzia Gehrer

II carattere dirompente dell’opera d’arte non si rivela qui come ritorno all’età perduta, a un presunta purezza originaria, a un senso primordiale dell’esistenza e delle cose. Il senso evocato dalla potenza tellurica che scaturisce dalla creazione artistica non ha nulla a che vedere con la dimensione tradizionale della temporalità: ne passato, ne futuro non c’è nostalgia e neppure attesa messianica, non linearità e neanche eterno ritomo. Solo la sottrazione dell’opera alle tradizionali e ormai consunte direttrici temporali interpretative della storia, permette il dispiegarsi della sua dimensione più propria, owero l’evento spaziale.

Ecco emergere l’interrogativo sul posto (concetto differente dal "ruolo" che appartiene invece alla sua tecnicizzazione) che l’opera d’arte assume dentro la nostra epoca. Un mondo i cui confini sono stati sfigurati, devastati dalla crisi di senso causata dall’incedere desertificante del nichilismo. Davanti a noi vi è un mondo sconfinato da interpretare, certamente molto meno rassicurante di quello rappresentato dall’età moderna che, al contrario dell’epoca attuale, aveva consumato la sua parabola temporale tracciando e ritracciando confini, creando e dividendo spazi, annettendo e polarizzando. Oggi siamo dentro l’epoca del disastro evocato da Maurice Blanchot. A proteggere Stati, Nazioni, Imperi, Patrie, non vi sono più neanche le celesti e ideali legittimazioni. In questo tempo a nulla servono le attese messianiche, le nostalgie delle età dell’oro, i salti avventati verso nuovi lidi che pretenderebbero di farci uscire dalla crisi di senso con inutili scorciatoie. La traversata del deserto è ancora lunga: chi realmente è in cammino non è un nichilista bensì un "artista" del nichilismo. I temerari del nichilismo sono coloro che vivono fino in fondo la crisi dei valori e dei fondamenti, ci stanno dentro, camminano a piccoli passi, senza fretta alcuna.

Ecco perché l’opera d’arte si mimetizza con il mondo, con la terra, non nel senso della mimesis tradizionale, ma nella con-fusione con il reale, con ciò che ci circonda. Un essere-con che però resiste alla fusione e che, quindi, si riserva uno spazio di apertura di senso proprio laddove sembra che senso, materia, fondamento, figura, valore, non ce ne siano più.

Eppure lo spazio di senso che l’opera d’arte apre non è niente. Per tale ragione essa è un’opera abissale, senza fondamento sostanziale. Essa rifugge, dunque, alla univoca definizione dell’essere, alla cristallizzazione del senso; nel suo essere tellurica sembra rievocare quella differenza abissale che Heidegger coglieva con i termini Grund e Abgrund.

Questa opera d’arte certamente sconcerta: ci mostra come proprio nella terra, nell’elemento nativo per eccellenza al pari del grembo materno, nella dimensione del radicamento, abiti anche l’intrusione, lo spaesamento, lo sradicamento, quel paradossale contro-movimento tellurico che lascia "senza patria". Del resto è proprio nella difesa ostinata di una identità assoluta che si consuma il dramma del nostro tempo. L’intruso di Jean-Luc Nancy come anche le figure dell’Hostis//-Hospes decostruite da Jacques Derrida, hanno dimostrato quanto siamo ancora conservatori e reazionari di fronte alla consapevole accettazione della dimensione dell’alterità come parte costitutiva del nostro essere al mondo. Un’alterità non solamente rappresentata da altri esserci ma anche dall’alterità stessa che alberga e si manifesta dentro la nostra soggettività, proprio come quel fondo abissale, spaventoso e destabilizzante che viene riempito, quotidianamente, di sensi consolatori e anestetizzanti e che invece andrebbe osservato nella sua radicale problematicità. Una dimensione abissale che costringe a ridefinire i concetti stessi di lo, Soggetto, Uomo e poi il modo stesso di relazionarsi di questa singolarità non più assoluta – perché ormai plurale anche dentro di sé – con ciò che lo circonda; uno spazio che mette in discussione gli stessi mitologemi della struttura di potere consolidatasi nei secoli nelle contrapposizioni maschile/femminile, alto/basso, ideale/materiale, bene/male, bello/brutto.

Abisso, deserto, oceano, tramonto, tecnica sono tutte immagini geo-filosofiche della devastazione del senso. Tecno-crazia, divisione dei saperi, mondializzazione, sono altre parole per dire la stessa cosa in un mondo senza più visioni ma, paradossalmente, invaso dalle immagini. Nell’età della tecnica nulla ha più lo stesso significato, non serve più alcuna magia per dominare le forze della natura, neppure si rende necessaria alcuna alchimia per combinarne gli elementi. La nudità del mondo è proprio nel suo essere esposto al dominio assoluto dei mezzi, al controllo totale del pensiero calcolante. È una nudità spaventosa, desertificata e bruciata, nella forma e nel contenuto, da questo immane potere tecnico che sfugge allo stesso controllo dell’uomo per auto-riprodursi incessantemente. Può l’artista ridare dignità qualitativa a quella natura che la tecnica ha invece considerato lo spazio delle quantità di materia da sfruttare, impiegare e occupare? Non è solo questo il senso dell’opera d’arte. In verità l’opera d’arte non serve (a) niente, nel senso che non è assoggettata, per sua essenza, a nessuna essenza assoluta e, dunque, a nessun potere. Non deve essere suo compito quello di ritagliare uno spazio alternativo e vergine (neanche la terra madre lo è), un’oasi di rifugio. Sarebbe un’inutile fuga dal mondo.

Come in queste opere, invece l’arte è nel mondo, anche in quello desertifìcato e privo di senso, in quanto spinge al massimo e porta fino in fondo il nichilismo affinché solo al momento giusto si possa realmente andare oltre il meridiano zero. L’abisso che l’opera d’arte scava nel mondo rompe quotidianamente i canoni metafisici tradizionali: essa non trae legittimazione da altro che sia fuori di sé, sopra di sé come sovrastruttura ideale o sotto di sé come fondamento ontologico e sostanziale. Qui l’opera d’arte è il mondo stesso, l’esserci quotidiano, è terra, suolo, materia, contatto. Non è meramente simbolo e non pretende di essere portatrice di verità assoluta. Non fornisce tabelle di valori o canoni a cui altri dovranno uni-formarsi. Essa non definisce più la comunità tradizionale dell’interpretazione, ma de-linea, senza giustamente de-finire nulla, una nuova geo-grafia della creazione. Una nuova scrittura che porta fuori la dimensione dell’alterità come parte costitutiva della verità stessa, che ridefinisce i confini del senso al di là dell’onto-teo-logia e della politica tradizionale, perché la sua verità non si dà mai una volta per tutte, ma è, di volta in volta, in ogni singola creazione artistica, evento.

Solo nella prospettiva di questa nuova geo-grafia policentrica dell’alterità ci sarà spazio per un pensiero etico che sarà al contempo una pratica dis-armante, pacifista ed un approccio realmente eco-logico verso ogni singola cosa che ci circonda.

Gianluca Romeo

kre.geherer@gmail.com

 

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