MalaStoria: Scilla e il maremoto del 1783 nei racconti del Vivenzio

Marina Grande nel 1781 incisione del Padre Domenicano Antonio Minasi

“Giace la Città di Scilla, tanto dà Poeti celebrata, alle falde di un monte bagnate dal mar Tirreno, o sia inferiore, e della quale P. Minasi Domenicano ne ha da due anni data la veduta in un gran rame. E’ divisa in tre quartieri, uno detto S. Giorgio rivolto a N., l’altro dell’Acqua grande coll’aspetto al S., ed il terzo delle Gornelle, e Livorno fra i due primi, in una piccola pianura formata dalla montagna prolungata nel mare, e che termina in uno Scoglio grandissimo, sul quale è fabbricato il Castello, o sia Palazzo Baronale”. Così scriveva Giovanni Vivenzio, illustre scienziato e letterato, studioso di vulcanologia e sismologia, cavaliere del Reale e militare Ordine Costantiniano di San Giorgio nella sua opera “Istoria e teoria de’ tremuoti in generale ed in particolare di quelli della Calabria, e di Messina”, edito dalla Stamperia Regale di Napoli nel 1783 (esiste un esemplare nella Biblioteca nazionale di Roma). Il docente universitario, giunto qualche giorno dopo, studiò il fenomeno e raccolse le testimonianze dei superstiti, e con gli occhi del cronista così continuò a parlare della Scilla colpita dal tremendo cataclisma: "Nell’orribile scossa de’ 5 Febbrajo cadde ad un tratto la quarta parte della Città, e il resto fu conquassato in modo da non potersi abitare.

 

Oliveto nel 1781 incisione del Padre Domenicano Antonio Minasi

Nel tempo medesimo dalla Bastia alta trecento palmi (così vien chiamata parte della marina) rotolarono gran massi di terra, e pietre, che ricoprirono due Case, e tre Casini (Furono involte fra le rovine due Madri, e due Fanciulli di tenera età); e poi all’ore 21 si vide precipitare un gran tratto della montagna detta Monasina, ch’è all’estremo della marina grande dalla parte del Sud. In tanta sciagura, e confusione gli Abitanti del quartiere S. Giorgio, approssimando la notte si ricoverarono negli Orti vicini; e quelli degli altri quartieri nelle adjacenti marine, parte sotto alle tende, e parte sulle Barche, trasportando seco loro il più prezioso, che avevano, seguendo l’esempio del loro Padrone Conte di Sinopoli, che si pose sopra una comoda Barca con quarantanove suoi Cortigiani. Inoltrarsi la notte, verso le ore otto d’Italia, essendo l’aria, ed il mare in tranquillità, e cadendo una placida piova, s’intese un grandissimo strepitio cagionato dal rovesciamento di un pezzo di terra dell’estensione di un miglio, e mezzo quadrato, staccatosi dalla montagna detta Campallà. Tal dirupamento diede il gusto alle Vigne, ed agli Alberi di quella contrada, ricoprendo la pietra del mare chiamata Formicola, ed il piano di Pachì, costituendo due punte tra il capo dello stesso nome, e S. Gregorio, e formando sulla marina detta la Nave un piano coltivabile.

 

Scilla nel 1781 incisione del Padre Domenicano Antonio Minasi

Mezzo minuto primo dopo tale rivoluzione si videro venire dalla parte di S. S. W. due sterminati cavalloni di acqua del mare, preceduti da un mugito orribile, che ad un tratto lanciandosi sul lido, misero sossopra, ed ingojarono le Barche, e le tende colla perdita di mille quattrocento trentuno Cittadini, de’ primi piani delle Case situate alla marina, e gittati incontro alle mura colle stesse Barche, e parte furono trascinati nel mare dal ritiramento delle onde (Come la mortalità di coloro, che rimasero sotto le rovine della Città non fu, che di pochi individui, e nello Stato Generale si vedono notati 1448, ho stimato perciò nella nota antecedente per esattezza specificare il numero de’ morti sotto le dette rovine; giacchè tutti gli altri morirono suffocati dalle acque del Mare). Questo gran fracasso, durò circa due minuti primi, ritornando indi il mare alla primiera calma (Vi sono altri esempj d’inondazione del Mare per effetto di Tremuoto). Fra gli estinti vi fu il nominato Conte di Sinopoli con i suoi Cortigiani. Gli Abitanti del quartiere S. Giorgio ricoverati negli Orti vicini non soffrirono alcun danno. Quelli dell’Acqua grande, che si erano collocati nella Chianella, e marina dell’Oliveto furono in parte danneggiati, ma quelli delle Gornelle, e Livorno, che stavano sulle Barche, e sotto le Tende nella Marina grande furono quasi tutti sommersi. Alcuni di quella Gente infelice salvatisi a nuoto, chiedevano ansanti del vino da bere; e dopo bevuto, morivano all’istante. Gli altri rimasti vivi asserirono, che le acque del mare erano caldissime; in fatti molti si sono trovati con pieghe della natura di quelle, che suol produrre l’acqua bollente. Le onde lungo la gran Marina si alzarono per ventiquattro palmi dalla parte del S., e trentadue da quella del N.. nel vallone poi di Livorno, che giace in mezzo a detta marina, s’inoltrarono sino a palmi seicento quarantasette. Ivi vennero distrutte ventidue Case, didici Casini, due Magazzini, il Fondaco de’ Manganelli per la Seta, e la Chiesa dello Spirito Santo, restando una sola Casa illesa, in cui si salvarono cento quaranta Persone. La mattina seguente a così funesta notte, tutti quelli scampati all’ira del mare ascesero in S. Giorgio, portando seco gli Storpj avanzati dall’orribil procella, de’ quali molti finirono di vivere. Per lo spazio di due mesi si sono veduti arrivare ne’ seguenti luoghi i cadaveri de’ naufragati: a Favazzina distante tre miglia da Scilla: a Bagnara sei: A Palmi dodici: alle Pietre nere quindici: a Gioja diciotto: a Nicotera trenta: a Paola cento: al Faro quattro: a Faci in Sicilia cinquanta: e finalmente in Catania (De’ Cadaveri venuti al lido in Favazzina, ed in Catania non ne ho potuto avere accurato il numero, e perciò non vien riportato)"

Scilla come appariva dopo la ricostruzione prima del 1908

Giovanni Vivenzio, nato a Nola (174?) nella prima metà del XVIII secolo, si affermò giovanissimo nei campi delle lettere, scienze e soprattutto nelle medicina, divenendo ben presto docente dell'Università napoletana. Insegnò chirurgia, ostetricia, anatomia e fisica sperimentale, fu direttore dell'Ospedale degli Incurabili e dei Reali Ospedali Militari delle due Sicilie. Nel 1780 fu nominato dal Re Ferdinando, Cavaliere Costantiniano, medico di Casa Reale e Protomedico Generale del Regno. Riorganizzò e ripristinò gli Ospedali Militari, che aboliti dal Re Ferdinando IV nel 1800, furono appunto fatti riaprire dal Vivenzio, che prospettò allo stesso Sovrano, una relazione, in cui faceva presente tutti gli inconvenienti che insorgevano, sotto ogni aspetto, dall'abolizione di tali ospedali. Il Re, con decreto del 25 ottobre 1800, ripristinò gli Ospedali Militari, in quei posti dove fossero necessari per il Regio Esercito. Fu socio di importanti Accademie sia in Italia sia all'Estero, (si ricorda quella di Medicina a Parigi e quella Imperiale a Pietroburgo).

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