ULISSE E PENELOPE ERANO CALABRESI

La Calabria, una terra strana, dove anche le cose più semplici sono sempre più complicate che altrove. Una terra in cui se vuoi vivere normalmente, facendo il tuo dovere e facendo valere i tuoi diritti, finisci sempre con l’apparire –specie agli occhi di chi ti vede da fuori-  come un eroe, un personaggio epico, d’altri tempi.

I calabresi? Siamo tutti figli di…Ulisse e Penelope. Non ne siete convinti? Eccovi allora la perfetta analisi dell’epica realtà nostrana, fatta con la competenza letteraria e lo stile narrativo che le sono usuali, da Letizia Cuzzola di www.terrearse.it, che per gentile concessione dell’autrice vogliamo condividere con i lettori del Malasito.

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I calabresi li distingui sempre, ovunque: sono in perenne attesa e inquieti, intenti a tessere tele mentali per Odissee perenni. Attese e aspettative: un lavoro, un amico che li aiuti a trovare quel lavoro, un Ulisse che torni e riporti la Calabria – Itaca ai vecchi splendori, un istante che rompa l’immobilità e restituisca il sogno di una vita normale; aspettano le festività per rivedere gli amici. Aspettano.  Ammettiamolo, noi calabresi ci portiamo dentro i pregi e i difetti di questa coppia di cui spesso narriamo orgogliosamente fra Scilla e Cariddi.

Luglio arriva di colpo, senza preannunciarsi e, con esso, giunge anche la frenesia di rincontrare gli amici che sono andati a vivere fuori da questa regione tanto bella quanto maledetta dal mito omerico: trovar fortuna altrove e tornare fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare, giusto per dirla alla Kavafis, almeno quando c’è la fortuna che Ulisse torni davvero a casa. Che l’emigrazione sia una delle piaghe più vive e purulente della Calabria è un dato certo, tanto che anche noi di TerreArse ce ne siamo occupati diffusamente con il progetto Sud Altrove, meno certa dovrebbe essere la rassegnazione con cui questo fenomeno viene ormai vissuto da generazioni. Rassegnazione di chi parte, rassegnazione di chi resta, rassegnazione anche un po’ dei Telemaco che restano in bilico fra l’odio per questa terra e la resistenza e criticano, a turno, gli Ulisse e i Penelope.

ulisse

Penelope, madre di ogni attesa, della pazienza e fiducia di chi resta e resiste. Ulisse, emigrato per lavoro anche lui se vogliamo…, fermo nei suoi ideali, sa che deve proseguire nel suo viaggio se vuole ritrovare la via di casa, ma sa anche che se una via di casa c’è ancora è per quella pia donna che lo attende mandando avanti la baracca. E i calabresi sono uguali: un po’ Ulisse un po’ Penelope.

Quando esattamente abbiano alzato la testa i Proci in Calabria – Itaca è difficile stabilirlo, lo hanno fatto un po’ alla volta, approfittando di quelle frotte di Ulisse che si mettevano in marcia per muover guerra alla disoccupazione, proponendo nuove soluzioni all’abbandono di questa terra che, nei secoli, ha smosso gli appetiti di chiunque: cani e Proci, appunto. I Proci, si sa, agiscono per lucidi tentativi, in attesa di un passo falso di Penelope che li autorizzi a far razzia e intenti a mostrare che Ulisse avrebbe potuto trovare un’isola felice al suo ritorno, almeno all’apparenza. I Proci, ingenui quasi da far tenerezza, pensavano e pensano davvero che Penelope sia una donna indifesa, stanca, senza conoscere la proverbiale caparbietà e l’orgoglio dei calabresi; hanno da sempre marciato pensando che sia sufficiente scavare la roccia della pazienza e dell’onestà giorno per giorno per giungere alla rassegnazione e prendere il potere.

Ma Penelope, che della resistenza in Calabria – Itaca è portatrice sana, non si fida, non si fida mai, guarda tutti sottecchi perché sa che non può fidarsi di nessuno se non della sua speranza e della sua tenacia nella pazienza, fa e disfà la sua tela ma, nel frattempo, qualcosa cuce davvero per il ritorno del suo Ulisse, senza che nessuno se ne accorga (poveraccia, resiste qui, in terra ormai di nessuno…) continua a mandare avanti quel suo regno di valori, ideali e ricordi: ci crede che la Calabria – Itaca possa nuovamente essere una terra prospera in cui Telemaco potrà vivere senza la valigia pronta sotto il letto. Penelope non si preoccupa solo di mantenere vivo il regno per l’uomo lontano che ama, si preoccupa degli altri rimasti accanto a lei nella resistenza, si preoccupa per i figli che ci sono e per quelli che verranno perché non debbano conoscere la barbarie dei Proci, il loro egoismo e la loro viltà, i loro soprusi.

Ulisse, parliamoci chiaro, non è che sia sempre così disperato per aver lasciato la sua terra: a casa propria ci si deve adeguare, in Calabria – Itaca qualunque cosa è più difficile, richiede più impegno e fatica, ma se navighi forse un porto più sicuro, qualcuno con un bottino per la guerra che lotti quotidianamente lo trovi. E così non si può giudicar male neanche Ulisse che ha lasciato Penelope e tutto il parentado a casa, in terra natia ma ormai lontana. Tornerà. Prima o poi. Se tutto va bene torna a ogni stagione favorevole e si sente un po’ turista, in questa Calabria – Itaca in cui, se non hai lo sguardo attento e non segui bene la cronaca giudiziaria, non sai più se hai davanti Proci o concittadini onesti e resistenti. Ulisse lotta: con la sua volontà, con i suoi sogni, con un amore a cui non sa più che volto dare.

Ulisse e Penelope lo siamo anche noi, ogni giorno, ogni momento in cui scegliamo se andare o restare lottando da posizioni diverse, ogni qualvolta diamo un volto ai Proci e decidiamo di riprenderci la nostra Calabria – Itaca con l’arco e con l’astuzia o con la pazienza e la perseveranza. E che ognuno di voi dia ai Proci il nome che vuole: uomini di governo o uomini di ‘ndrangheta.

Letizia Cuzzola