LA COSTA VIOLA COME L’U.R.S.S.?

Risultati immagini per urss cartinaNegli anni successivi alla caduta del muro di Berlino, con il disfacimento dell’ex Unione Sovietica (U.R.S.S.), cambiarono molte cose. Tra le altre, gli atlanti geografici. Quella che prima era una sola macchia verde che dall’Ucraina arrivava fino in Siberia e dal mare di Barents si spingeva a Sud fino alla Cina, la macchia verde dicevo, cangiò culuri e addivintò di varie tonalità: ogni colore era una nuova repubblica. La Germania, che prima era divisa in Ovest e Est, invece, addivintò di un colore unico.

In quell’Europa, tra le nazioni che non cambiarono colore sulla carta geografica ci fu l’Italia e con essa, i suo mari, i suoi fiumi i suoi laghi. Anche la Calabria conservò i suoi colori: il marrone della Sila e dell’Aspromonte, il verde delle colline e, più acceso, delle poche pianure e il blu dei pochi fiumi e laghi e, soprattutto, del mare.

Sono passati ventisei anni dalla caduta del muro e, a quanto sembra, anche per la Calabria dovranno essere aggiornati i colori sull’Atlante.

Costa Viola

In un celebre scritto del palmese Leonida Repaci dal titolo “Quando fu il giorno della Calabria”, si legge la genesi della nostra regione:

<<Quando fu il giorno della Calabria Dio si trovò in pugno 15000 km. quadrati di argilla verde con riflessi viola. Pensò che con quella creta si potesse modellare un paese di due milioni di abitanti al massimo. Era teso in un maschio vigore creativo il Signore, e promise a se stesso di fare un capolavoro. Si mise all’opera, e la Calabria uscì dalle sue mani più bella della California e delle Hawaii, più bella della Costa Azzurra e degli arcipelaghi giapponesi. Diede alla Sila il pino, all’Aspromonte l’ulivo, a Reggio il bergamotto, allo Stretto il pescespada, a Scilla le sirene, a Chianalea le palafitte, a Bagnara i pergolati, a Palmi il fico, alla Pietrosa la rondine marina, a Gioia l’olio, a Cirò il vino, a Rosarno l’arancio, a Nicotera il fico d’India, a Pizzo il tonno, a Vibo il fiore, a Tiriolo le belle donne, al Mesima la quercia, al Busento la tomba del re barbaro, all’Amendolea le cicale, al Crati l’acqua lunga, allo scoglio il lichene, alla roccia l’oleastro, alle montagne il canto del pastore errante da uno stazzo all’altro, al greppo la ginestra, alle piane la vigna, alle spiagge la solitudine, all’onda il riflesso del sole>>

Risultati immagini per costa viola carta geograficaE sono proprio i riflessi del sole a dare alle onde del mare che bagna la Calabria tirrenica per un tratto di circa 30 km della provincia di Reggio, il caratteristico colore viola. Per questo motivo, il tratto di costa che va da Scilla a Taureana di Palmi è noto sulle carte geografiche e gli atlanti di tutto il mondo con il nome di Costa Viola. Almeno fino ad oggi.

Fino ad oggi perché, continuando così, non sappiamo se nel futuro prossimo i riflessi del mare cambieranno colore. E sì, perché stando a quanto riportano le cronache, nel nostro mare viene riversato di tutto. Lo stesso accade nei nostri fiumi. E’ proprio di oggi la notizia che le Procure di tutte le provincie calabre stanno conducendo indagini per verificare il livello di inquinamento di numerosi corsi d’acqua (Crati, Mesima, Budello), interessati da sversamenti di sostanze di varia natura.

In questo quadro desolante, per non dire inquietante, si inserisce anche il fenomeno del “mare-marrone”.

Esso si verifica, oramai con puntualità svizzera, in occasione di ogni precipitazione atmosferica (l’ultima è di pochi giorni or sono). Tutti i valloni compresi nel territorio del Comune di Scilla, che dai pianori (Fronte, Forìo, Scirò, Pacì) degradano verso il mare, riversano in esso materiale terroso in quantità talmente consistenti da provocare continue frane sulla martoriata Satale 18 e, soprattutto, di entità tale da far assumere al mare un colore nettamente diverso: dal blu con riflessi viola, al marrone più scuro.

Il motivo principale del perché i greti dei nostri torrenti portano a mare materiale terroso in quantità più che industriale, è da far risalire -non solo secondo chi scrive ma anche secondo chi conserva un minimo di memoria storica del territorio nostrano-  alla costruzione della nuova autostrada.

Nell’ambito dei lavori della nuova “A3”, l’intero tratto di territorio comunale interessato dall’attraversamento del nuovo tracciato, è stato costellato di nuove stradelle di servizio, incluse diverse modifiche alla viabilità originaria. Ciò ha comportato movimenti terra non certo indifferenti. Ma che fine ha fatto questo materiale? A quanto si sa, poiché non è utilizzabile per essere trasferita sulle nostre spiagge –come, invece, era avvenuto a fine anni ‘60 del secolo scorso, in occasione della costruzione della prima autostrada- il materiale derivante da demolizioni del vecchio tracciato e dalla realizzazione della nuova viabilità di servizio nonché dalla modifica delle vecchie strade comunali (vedi in località Forìo e Fronte), è stato in parte “sigillato” nelle vecchie gallerie ed in parte “smaltito”. Ma come??

Potrà sembrar strano (ma siccome siamo in Italia, strano non è), ma il “come” è da ricercare nella stessa Legge che ha consentito la realizzazione della nuova arteria viaria. Infatti, la Legge Obiettivo (L. 443/2001) -Legge quadro per la realizzazione di infrastrutture strategiche- così dispone:

Art. 1

….
17
. le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, percio’, escluse dall’ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo [Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti] solo nel caso in cui , anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attivita’ di escavazione, perforazione e costruzione siano utilizzate, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalita’ previste nel progetto …. approvato …., sempreche’ la composizione media dell’intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti.
18. Il rispetto dei limiti di cui al comma 17 puo’ essere verificato….. anche mediante accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo. ….
19. Per i materiali di cui al comma 17 si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione a differenti cicli di produzione industriale, purche’ sia progettualmente previsto l’utilizzo di tali materiali, intendendosi per tale anche il riempimento delle cave coltivate, nonche’ la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall’autorita’ amministrativa… a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 18 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalita’ di rimodellazione ambientale del territorio interessato. Qualora i materiali di cui al comma 17 siano destinati a differenti cicli di produzione industriale, le autorita’ amministrative competenti ad esercitare le funzioni di vigilanza e controllo sui medesimi cicli, provvedono a verificare, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, anche mediante l’effettuazione di controlli periodici, l’effettiva destinazione all’uso autorizzato dei materiali; a tal fine l’utilizzatore e’ tenuto a documentarne provenienza, quantita’ e specifica destinazione.

In breve:
1) i rifiuti degli scavi e delle demolizioni sono stati equiparati ai normali rifiuti. Basta che la loro utilizzazione sia stata conforme a quella prevista in progetto;
2) il rispetto dei limiti previsti per legge "può" essere verificato mediante accertamenti sui siti ai quali i materiali dovevano essere destinati. Potere (opportunità), come ben si sa, non significa Dovere (obbligo). E noi, se una cosa non siamo obbligati a farla, n’a facimu;
3) la ricollocazione in altro sito (leggasi vecchie gallerie tappate e riversamento nei greti dei torrenti) sono stati fatti passare nei progetti come "rimodellazione ambientale". E che rimodellazione! Greti ripieni e mare marrone!!;
4) le autorità competenti che dovevano vigilare, "verificare e controllare l’effettiva destinazione all’uso autorizzato", dov’erano mentre i nostri valloni venivano riempiti?

Risultati immagini per costa viola riflesso del soleQualche tempo fa, la Capitaneria di Porto aveva segnalato la presenza di valori anomali nelle acque del mare antistanti la foce del torrente Favazzina. Poi non si è saputo più nulla. Come mai? Come mai nessuno si è preoccupato, almeno finora, di andare a verificare se le fin troppo permissive disposizioni legislative sopra citate, siano state rispettate realmente (non solo sulla carta) oppure siano state, diciamo così, “interpretate liberamente” da qualcuno?

Di certo, sarebbe il caso che per ciò che riguarda il nostro territorio comunale, l’amministrazione in primis e l’intero consiglio comunale chiedessero pubblicamente, nella prossima riunione del civico consesso  scillese, alle autorità competenti di porre in essere ogni attività d’indagine ritenuta opportuna e necessaria al fine dell’accertamento delle cause (e delle conseguenti responsabilità) del continuo ripetersi dell’anomalo inquinamento terroso del nostro mare.

La Costa Viola è uno dei siti naturalistici di maggior pregio dell’intera Europa  (fa parte della rete “Natura 2000”, è sito di interesse comunitario), è un nostro dovere –dettato, tra l’altro, dall’art. 9 della Costituzione italiana- e non possiamo fare finta di niente. A meno che, non vogliamo che la Costa Viola scompaia dagli atlanti geografici e cambi definitivamente colore.

 

Sì, insomma, mi auguro vivamente che la Costa Viola non faccia come l’ex U.R.S.S. sulle carte geografiche, perché c’è una differenza sostanziale: mentre dall’uniforme monotonia dell’U.R.S.S. è comparsa sulla carta geografica una varietà di colori vivi, segno di libertà ritrovata.

Dalla scomparsa della Costa Viola, dalla scomparsa del suo mare blu dai riflessi violacei, nascerebbe un colore marrone.

Un colore che la Natura non ha fatto per il mare, perché non adatto a dare all’onda il riflesso del sole…

 

 

 

 

(immagini e foto tratte www.google.it, ad eccezione dell’ultima, che è di Giusy Lopes)