“CASO BRONZI” – PARTE II: CARTA CANTA

bronziRiesplode il “Caso Bronzi”. Dopo aver illustrato nella prima parte le magagne alle quali abbiamo assistito e i possibili scenari futuri, ripercorriamo la vicenda della “clonazione” dei due guerrieri ritrovati a Riace, sulla base delle carte ufficiali.
Fate altra scorta di camomilla.

 

AVVERTENZA:

In blu: testo tratto dalla sentenza TAR Reggio Calabria n° 1285/2003

In rosso: testo dellaGiunta Regionale della Regione Calabria del 10 giugno 2002 n. 507 citato nella sentenza del TAR

In verde: testo tratto dalla sentenza Consiglio di Stato n° 4779/2009.

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Con la SENTENZA TAR REGGIO CALABRIA N. 1285/2003 del 16.7.2003 (depositata il 10.10.2003), erano state annullate:
a) la delibera della Giunta Regionale della Regione Calabria del 10 giugno 2002 n. 507, non pubblicata sul Bollettino della Regione, avente ad oggetto “Riproduzione Bronzi di Riace”;

b) la Convenzione stipulata in data 17 luglio 1998 tra il Ministero per i Beni culturali e ambientali e la Regione Calabria;

c) gli atti precedenti, presupposti, consequenziali e comunque connessi a quelli indicati nelle precedenti lettere, quali la delibera della Giunta Regionale n. 6335 del 15 dicembre 1997, con cui si disponeva l’impegno della somma di un miliardo di lire per la riproduzione dei Bronzi di Riace, e la convenzione di attuazione della deliberazione n. 507/02.

Il TAR reggino spiega:

“Con la deliberazione n. 507 del 10 giugno 2002 la Giunta regionale calabrese, richiamata la convezione stipulata nel luglio 1998 con il Ministero per i Beni culturali ed ambientali, avente ad oggetto la riproduzione di una copia in bronzo, in scala 1:1, dei Bronzi di Riace, e confermata l’opportunità… di riprodurre i Bronzi di Riace “anche in relazione alla necessità di rafforzare e qualificare ulteriormente le iniziative promopubblicitarie intraprese dalla Regione per ‘modificare’ e rilanciare nel mondo la sua immagine con positive ricadute in termini di valorizzazione delle proprie risorse non solo turistico-ambientali e culturali” approvava lo schema di convenzione intercorso con l’Istituto centrale per il Restauro, al quale veniva affidata direttamente l’attività di riproduzione.
….Dal complesso delle …. norme si ricava ….che l’attività di valorizzazione dei beni culturali, di cui la riproduzione genericamente intesa costituisce uno dei possibili aspetti, deve essere frutto di un intervento programmato e coordinato che deve vedere coinvolti, unitamente allo Stato, tutti gli enti locali, oltre che eventuali altri soggetti pubblici e privati interessati.
…Il provvedimento …col quale la Regione Calabria, in attuazione di una convenzione del 17 luglio 1998 con il Ministero per i beni culturali, anch’essa impugnata, autonomamente valuta l’opportunità di riprodurre i Bronzi di Riace, in atto allocati nel museo di Reggio Calabria, in un ottica di valorizzazione delle proprie risorse, al di fuori di un programma generale e preventivo opportunamente istruito e senza il coinvolgimento degli altri soggetti interessati, quali in primo luogo il Comune e la Provincia di Reggio Calabria, è certamente illegittimo (o, addirittura, nullo come sancito dall’art. 135 t.u.).
Tale impostazione trova ulteriore conferma nel nuovo Titolo V della Costituzione, che 1) affida alla Stato una potestà legislativa esclusiva in materia di tutela dei beni culturali (art. 117, II co., lett. s); 2) pone, invece, la materia della valorizzazione dei beni culturali tra quelle di legislazione concorrente (art. 117, III co.)
…Né tale logica risulta incrinata dalla circostanza che le opere da riprodurre siano beni di proprietà dello Stato.

...è evidente che la deliberazione n. 507/02, … poteva esplicare i suoi effetti solo se e in quanto la riproduzione fosse stata realizzata proprio in bronzo.
….ne consegue che la riproduzione voluta dalla Regione consiste in una vera e propria “clonazione” di un’opera d’arte, che è certamente un quid pluris rispetto alla mera riproduzione, nel cui ambito rientrano anche le fotografie, i disegni, le sculture in scala ridotta e così via, le quali si differenziano evidentemente dalla “clonazione” per la loro assoluta inidoneità ad intaccare i caratteri di unicità ed originalità delle opere d’arte.
…La convenzione …già prevede che la “clonazione” avvenga al fine di poter esporre le copie in mostre e manifestazioni culturali e promozionali in genere, in Italia e all’estero, con la specificazione…che la proprietà della copie resta alla Regione.”

Il TAR formula quindi alcuni rilievi oggettivi riguardo alla delibera della Regione:
“…L’operazione così congegnata diviene, infatti, direttamente ed immediatamente lesiva degli interessi, in primo luogo turistici, di cui sono portatrici le comunità locali reggine, in violazione delle norme sopra ricordate.
…La decisione di clonare i Bronzi, … non è affatto concepita in funzione della loro tutela (controllo dello stato di conservazione, individuazione degli opportuni interventi di restauro) e non nasce da esigenze di ricerca, le quali sole avrebbero, peraltro, giustificato il coinvolgimento diretto dell’Istituto centrale di Restauro.
La deliberazione regionale, con le convenzioni allegate, correla, invece, la riproduzione dei Bronzi solo
alla necessità di rafforzare e qualificare le iniziative promopubblicitarie intraprese dalla Regione” (ma qui non specificate) al fine di “modificare e rilanciare nel mondo la sua immagine”.
Per tale motivo essa si presenta viziata da eccesso di potere per manifesta contraddittorietà e illogicità.
….La clonazione di capolavori…isolatamente considerata, non è certamente consona all’obiettivo di valorizzare, attraverso il bene culturale, l’intero territorio; obiettivo rispetto al quale appaiono funzionali eventualmente altre tecniche di riproduzione, che incrementano la diffusione della conoscenza dell’opera d’arte, stimolano l’interesse a vedere il capolavoro riprodotto, ma non intaccano, anzi piuttosto esaltano, l’unicum dell’opera d’arte.”

Il TAR conclude, aggiungendo che la delibera del 2002 e le convenzioni “…si incentrano, invece, proprio sull’utilizzo della copia a scopi promozionali e di divulgazione dell’immagine della Calabria, non reputandolo per nulla un fatto indipendente e svincolato dalla riproduzione delle statue, come invece asserito nelle surrichiamate controdeduzioni, ma anzi la ragione fondamentale dell’operazione stessa.”

Arriviamo quindi alla decisione del 17.4.2009, con la quale il CONSIGLIO DI STATO -SEZ. 6, con la SENTENZA N. 4779/2009 (depositata il 30.7.2009), accoglie il ricorso di: Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza archeologica della Calabria, Istituto centrale per il restauro, e Ministero dell’istruzione dell’università e annulla la sentenza emessa dal TAR di Reggio Calabria.

Scrivono i giudici del massimo organo di giustizia amministrativa:

…Appare opportuno distinguere tra l’attività di valorizzazione del bene culturale e l’attività di tutela.
Mentre la valorizzazione, come correttamente rileva il primo giudice, deve essere il frutto di un intervento coordinato che veda coinvolti tutti i soggetti pubblici interessati, l’attività di tutela rappresenta prerogativa esclusiva dello Stato, in quanto soggetto proprietario del bene, che è quindi responsabile primario della sua conservazione.
Tale distinzione trae, del resto, fondamento anche nell’art. 117, comma 2, Cost., che, appunto, riserva alla competenza esclusiva dello Stato l’attività di tutela dei beni culturali, demandando, invece, alla competenza concorrente Stato-Regione, l’attività di valorizzazione“.

E aggiungono:

“….La finalità di tutela emerge chiaramente, oltre che dalle caratteristiche intrinseche dell’intervento, da quanto è esplicitamente dichiarato, a giustificazione dell’iniziativa, sia nella nota ministeriale del 5.11.2003, prot. n. 22771 (in cui si legge appunto “si era ritenuta opportuna e conveniente la realizzazione delle copie dei bronzi di Riace a fini di tutela e conservazione, per disporre di una copia in caso di deterioramento degli originali”), sia nella nota dell’Istituto Centrale per il restauro in data 21.5.2003, già valorizzata da questa Sezione in sede cautelare (in cui si fa riferimento alla necessità della copia al fine della salvaguardia del bene ed altresì in considerazione della proprietà pubblica statale dei beni che si vogliono riprodurre a prevalenti fini di salvaguardia e ricerca).
Non si ha, quindi, alcuna “clonazione” di opera d’arte, ma solo una attività di tutela che lo Stato, in qualità di ente proprietario del bene, ha legittimamente posto in essere avvalendosi della collaborazione della Regione Calabria.”

Pur non essendo avvocati, ma avendo fatto quel minimo di scuola che ci permette di saper leggere e capire, leggendo tutta questa storia attraverso le “carte ufficiali”, appaiono evidenti numerose stranezze.

1. Casualmente (?), la delibera regionale incriminata dalla quale è scaturita la vicenda giudiziaria, non viene pubblicata sul bollettino regionale, così che il suo contenuto rimane noto solo agli “addetti ai lavori” e viene svelato al resto dei cittadini calabresi nelle sue parti più significative  solo dopo l’uscita della prima setenza.

2. Mentre il TAR, molto correttamente, fonda tutte le sue considerazioni, in fatto e in diritto, sul contenuto dell’atto deliberativo -vale a dire sull’oggetto della causa, il Consiglio di Stato fa derivare le sue convinzioni non dall’analisi della delibera impugnta ma da due semplici note (una del Ministero e l’altra dell’Istituto Centrale di Restauro) datate maggio e novembre 2003 che però non hanno -a nostro modesto parere- niente a che vedere con la delibera del 2002.

Dette comunicazioni, oltre a essere notevolmente tardive, sono infatti due semplici lettere e non atti amministrativi. Casualmente (?) però, il Consiglio di Stato le promuove a rango di prova “a giustificazione dell’iniziativa”.

3. Pur riconoscendo ai giudici reggini di aver correttamente interpretato il dettato costituzionale e le disposizioni legislative riguardanti le competenze esclusive (tutela) o concorrenti (valorizzazione), il Consiglio di Stato sembra voler ignorare completamente il ragionamento del TAR.

In sostanza, il TAR rileva che la delibera fa formalmente riferimento alla riproduzione dei bronzi non in un’ottica della loro tutela materiale –che sarebbe di competenza esclusivamente statale, a prescindere che si tratti di “clonazione” o di semplice “copia” degli originali– ma in un più ampio quadro di iniziative pubblicitarie, finalizzate alla valorizzazione dell’immagine della nostra regione, che deve inevitabilmente essere coinvolta, in tutte le sue componenti istituzionali e civili.

In conclusione: TAR e Consiglio di Stato hanno sostanzialmente condiviso lo stesso impianto giuridico, ma il Consiglio di Stato, sembra non aver letto affatto la delibera regionale!

Non è strano?

P.S.:Chi volesse appprofondire gli aspetti giuridici, può seguire questo link