“CASO BRONZI” – PARTE I: MEDICI E MALATI, CU SI VARDAU SI SARBAU

bronzi E’ ‘u malatu chi avi a iari nto medicu? o è ‘u medicu chi avi a iari nto malatu?
Questa la domanda che nelle ultime ore attanaglia tutti (o quasi) i reggini (riggitani puro sangue e provincia annessa), riguardo al destino prossimo venturo dei bronzi di Riace. Tentiamo di riassumere la complicata facenna: mettetevi commodi,  iarmativi di santa pacenzia, pigghiativi ‘na camomilla e continuate a leggere…

 

 

Era il dicembre 2007, c’era ancora la buonanima del governo Prodi e Ministro dei Beni Culturali e Vice presidente del Consiglio era Rutelli, il quale illustrando il programma per i festeggiamenti del 150° anniversario dell’unità d’Italia, annunciò che tra gli “interventi a carattere culturale, scientifico, ambientale ed infrastrutture destinati a lasciare dei segni importanti nel territorio nazionale” era stato inclusa anche la “ristrutturazione e adeguamento funzionale del Museo Nazionale nel Comune di Reggio Calabria“.

Poco più di un anno dopo (novembre 2008) il governo è cambiato, ma a Reggio Scopelliti è il riconfermato sindaco più amato d’Italia e, in questa veste, annuncia all’urbi e all’orbi l’avvio dei lavori che costeranno -tra Stato e Regione Calabria- circa un ventinaio di milioni di euri.

Partono i lavori e, a detta del dott. Prosperetti -Direttore generale del Ministero- la più importante prescrizione del capitolato d’appalto prevede che durante i lavori di ristrutturazione del Museo, la sala che ospita i Bronzi di Riace debba rimanere sempre ed ininterrottamente aperta per consentire il permanente accesso e la costante fruizione ai visitatori dei Bronzi di Riace. La “clausola” è stata fatta propria dall’impresa aggiudicataria che ne ha garantito il pieno rispetto.

Arriviamo al 2009. Il 17 Aprile esce la sentenza del Consiglio di Stato che, di fatto, consente la possibilità di realizzare le copie delle due statue bronzee [ne parliamo diffusamente in un altro articolo].

Si scatena un tira-e-molla riguardo alla possibilità di trasferire le due statue a La Maddalena in occasione del G8 per far fare una bella figura (?) al cavalier Silvio. Alla fine, gli esperti del Ministero conclusero che non era possibile trasferire i due guerrieri poiché troppi sarebbero stati i rischi collegati a una tale ipotesi, in considerazione della loro ‘fragilità’. Bonu.

Poi la terra trema in Abruzzo e -chistu sì ch’è miraculu!- il movimento tellurico fa sì che, paradossalmente, le acque in riva allo Stretto si calmino. ‘Rrivata la ‘stati, ognuno si chitau i sensi e pinsau solo alle vacanze.

Finita festa ‘i Maronna e, con essa, la bella stagione, i soliti ‘ciriveddhi fini’ hanno cominciato a travagghiari a pieno ritmo e partoriscono la novità.

La novità è chista. Chissà come mai, contrariamente a quanto previsto in sede di appalto, ci si è resi conto solo adesso che non è possibile conciliare l’esecuzione dei lavori all’interno del museo con la contemporanea normale esposizione dei bronzi e siccome i lavori dureranno fino al marzo 2011 (almeno così prevede il programma), che fine faranno i bronzei guerrieri?

Appena il tempo di cominciare a pensare a quale palazzo reggino avrebbe potuto accoglierli (numerose sono le proposte avanzate: Palazzo Campanella? Villa Zerbi? Pinacoteca comunale?) che, sempre i famosi esperti, sparano: i bronzi hanno bisogno di un check-up completo e, pertanto, devono necessariamente essere trasferiti a Roma, presso l’Istituto Centrale per il Restauro. Tanto, pensano loro, che ve ne fate se il museo dovrà chiudere?

L’ultima conferenza stampa è di ieri, 1 Ottobre. La Sovrintendente regionale, dott.ssa Bonomi rimane sul vago circa gli interventi che saranno effettuati, ma di una cosa è sicura: i bronzi andranno a Roma. Sì, partiranno (non si sa quando), faranno la visita specialistica all’ICR ( durata prevista circa sei mesi) e torneranno a Reggio -assicurano sia la Bonomi che Pepp(on)e Scopelliti- a visita ultimata e comunque entro il marzo 2011.

In tutta ‘sta gran camurrìa però, ci sono delle cosette che non quagghiunu e che malgrado le recentissime citate rassicurazioni -nonostante ‘a camomilla…e l’abitudini- ci fanno ‘ntrubuliari ‘u sangu. Come sempre.

1. La previsione contenuta nel capitolato d’appalto non è stata rispettata durante l’esecuzione. E’ stato presentato un nuovo progetto di adeguamento? E’ stato modificato il capitolato? Di progetti nuovi nessuno sa niente, il che significa che per le imprese escluse dall’appalto si aprirebbe la strada per fare ricorso, con conseguenti problemi di rispetto dei tempi d’esecuzione prestabiliti.

2. La chiusura prolungata e -a questo punto- totale del museo provocherà una sensibile diminuzione del già non eccezionale afflusso turistico a scopo culturale. Chi o cosa vieta di esporre i bronzi e le altre opere più pregiate nelle altre sedi disponibili fin qui indicate da più parti: Palazzo Campanella, Villa Zerbi, Pinacoteca comunale

3. La decisione di mandare le due statue a Roma per il check-up suscita più di qualche perplessità, poiché già nel 1994 era stato eseguito un primo restauro, che era durato sì due anni, ma si era svolto a Reggio, nei locali messi a disposizione dalla Regione Calabria.

4. La concomitante sentenza del Consiglio di Stato che ha dato il via libera alla ‘clonazione’, non fa che aumentare i timori di gran parte dei reggini relativi alla possibilità che i bronzi rimangano per tanto tanto tempo lontani da Reggio (con le conseguenze negative che possiamo facilmente immaginare), e che possa essere attuato quello che era il progetto originariamente previsto dalla Regione Calabria per pubblicizzarne maggiormente l’immagine. Ma, a parte le considerazioni di ordine giuridico [vedi sentenze], i reggini (e chi scrive) si erano già espressi in larga parte per il no.

5. MA SOPRATTUTTO: com’ è che, a distanza di pochi mesi, quei bronzi che non potevano affrontare i pericoli di un viaggio per andare a La Maddalena, quegli stessi bronzi possono ora andare a Roma? Li ha guariti qualcuno o erunu scecchi i ‘medici’ del primo responso? Come e in che misura sono diminuiti i rischi di cui si parlava prima del G8?

Ma c’è di più. Quasi sedici anni dopo, con le tecnologie moderne, perché non è possibile eseguire il restauro dei bronzi direttamente a Reggio? Possibile che non ci sia un palazzo, una stanza, nu cantu [un angolino -ndr] dove poter accasare i bronzi?

E di più. Gli stessi esperti tecnici italiani  dell’ICR sono andati fino in Cina a restaurare le statue di un esercito di terracotta. Perché non dovrebbero venire a Reggio?

Va bene che la sanità calabrese è nell’occhio del ciclone e manca poco che anche per un raffreddore, andiamo a ricoverarci a Milano.

Ma se ‘u malatu è malatu tantu gravi da non potersi muovere da casa, come accertato pochi mesi fa per lo stato di salute dei bronzi, sarebbe bene che fossero i ‘medici specialisti’ ad armarsi di stetoscopio, sfigmomanometro e ricettario e andare a casa degli illustri pazienti bronzei.

In occasione della polemica del trasferimento al G8, avevamo proposto la mala-soluzione dei bronzi da giardino.

Ebbene, osservando le tante stranezze in quanto sta avvenendo, verrebbe quasi da pensare che qualcuno che magari si trova a Roma, sapendo che molti malati calabrisi vanno a curarsi in Lombardia, poiché nei dintorni di Milano ha a disposizione ‘na bella villa cu nu bellu giardinu, approfittandu della concomitante possibilità della ‘clonazione’ offertagli dalla ‘casuale’ sentenza del Consiglio di Stato, mosso esclusivamente -pi’ carità- da un grande slancio di solidarietà verso Reggio e la cultura calabrese, avrà pensato: “Questi  illustri ‘malati’ calabresi li accolgo volentieri io”.

A pensar male si fa peccato, ma spesso ci s’indovina, no?

Se così fosse, la mala-soluzione diventerebbe clamorosa realtà e noi correremmo il rischio che il padrone della villa piazzi nel suo giardino le statue dei due guerrieri di bronzo, rimandandoci indietro due statue rimesse a nuovo sì, ma dalla clonazione!!!

Certo, lo scenario prospettatto magari sa di trama poliziesca di stampo Lucarelliano, alla ‘Ispettore Coliandro’ per intenderci.

Ma, è più forte di noi, specie quando le cose non sono molto chiare. Nelle nostre menti di calabrisi testa ‘i ncunia, si materializzano le peggiori paure, che ci rendono estremamente diffidenti e ancora più convinti dell’eterna validità del detto tramandatoci dai nostri nonni: cu’ si vardau, si sarbau!