CHIDDHU CHI VINDIVA ‘A NIVI

E’ incredibile come, a volte, la storia possa farsi conoscere da sola, possa raggiungerti direttamente a casa.
Ieri sera ascoltavo la radio e saltando da una stazione all’altra, capito su radiotre. Di solito è il canale radio rai che offre musica classica, opere, ecc., insomma:roba seria.
Ieri sera no. In un programma si parlava dei vecchi mestieri di una volta. Tra di essi, il carbonaio (‘u carbunaru) e quello che mi ha colpito di più: “chiddhu chi vindiva ‘a nivi”.
neve in scatolaGeek Stuff: Instant Snow (Neve Istantanea)
Gli autori del programma intervistavano un anziano ultraottantenne di un paesino situato sulle pendici dell’Etna, il quale raccontava come si svolgeva il suo mestiere.
Ma, senza andare fin sull’Etna -anche se poi non è mica così lontano- anche dalle nostre parti un tempo c’era “chiddhu chi vindiva ‘a nivi”.
Scilla, pur essendo molto più conosciuta come località di mare, è per estensione territoriale il secondo comune della provincia reggina. Si parte dal livello del mare, per arrivare fino ai 1800 mt. di Monte Nardello -dove c’era l’ex base USAF ri ‘mericani.buca neve
In questa parte del territorio scigghitano, situato praticamente al di sopra della località ri “Quarti”,servita all’epoca da una vecchia strada comunale, esistevano numerose “fossi ra nivi”.
Non erano altro che enormi buche scavate nel terreno, le cui dimensioni volumetriche erano pari a quelle di una stanza, che nel rigido periodo invernale venivano riempite di neve, sia a causa delle precipitazioni naturali, sia perché erano gli uomini a raccogliere la neve e a “custodirla” all’interno di queste enormi fosse, che venivano poi opportunamente segnalate e ricoperte con rami di felci.
La particolare raccolta durava fino al mese di febbraio-marzo.
Con l’avanzare della primavera, gli uomini tornavano quindi sul posto e prelevavano il quantitativo di neve che il mercato richiedeva. I particolari “recipienti” favorivano infatti la conservazione della preziosa materia prima che, a causa della stessa temperatura naturale del terreno, si trasformava presto e facilmente in ghiaccio.
Questo ghiaccio naturale veniva quindi portato giù in paese e distribuito nei bar, pasticcerie e/o nei ristoranti sia di Scilla che dei paesi vicini (Bagnara, Villa, ecc.) e, a detta dell’anziano catanisi intervistato alla radio, rendeva anche parecchi soldi in più rispetto al carbone.
Infatti, il ghiaccio portato da “chiddhu chi vindiva ‘a nivi”, era molto ricercato poiché utilizzato sia per rinfrescare le bevande, che per conservare meglio gli alimenti, che per…fare le granite.
Il procedimento era il seguente: in un recipiente grande si metteva la neve; all’interno, se ne metteva un altro di dimensioni più piccole, al cui interno venivano combinati nelle giuste proporzioni acqua, zucchero e una purea di vari tipi di frutta, a seconda del gusto che doveva avere la granita. Dopo una “semplice” operazione di mescolamento continuo degli ingredienti, grazie al potere raffreddante della neve, la purea di frutta solidificava in quei piccoli cristalli ghiacciati: la granita appunto.

malagranitaL’epopea ‘i chiddhu chi vindiva ‘a nivi, dell’uomo che d’estate tutti aspettavano per ristorarsi e sollevarsi dalla forte calura del sole calabrese, ebbe fine con l’avvento dei frigoriferi, arrivati in Italia subito dopo la guerra, nei primi anni ’50.
Da allora, anche nei bar dei paesini più piccoli e spirduti, chi è in cerca di refrigerio non aspetta più “chiddhu chi vindi ‘a nivi”. Gli basta semplicemente aprire uno sportello.
Ascoltando questa storia ieri sera, mi son tornate alla mente le parole di un anziano zio mio, che ancora oggi, forse perché memore dei ritardi che l’uomo della neve accumulava dovendo servire tanta gente sotto l’infernale afa estiva calabrisi, simpaticamente esclama: mannaia a chiddhu chi vindi ‘a nivi!

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