Solipismi n. 3 – Albe

 

Albe

Tutte le albe sono uguali. C’è sempre il sole che si mette in quel modo lì, il mare che ondeggia secondo i suoi moti imperscrutabili, il vento sottile, aggraziato o assente che aspetta di far provare il suo tocco.
Sei o sette persone tutti i giorni ne aspettano una a Scilla. O forse è lei che fa loro una continua sorpresa. Tutto è calmo e lento in quella parentesi, c’è solo voglia di caffè, silenzio e sigarette. La piazza, mentre il buio si addormenta, diventa il luogo dal quale alcuni osservano il più lento risveglio di altri. È sempre così, durante tutte le albe.
Ma quell’alba lì è stata diversa. Lo scenario abituale rotto dall’irrompere frettoloso di una ragazza piangente, disperata. E, più di tutto, arrabbiata. Si sapeva che qualcosa sarebbe successo. Le fiamme laggiù a marina erano già più basse, di tempo ne era passato. La barca bruciava già da un po’, qualcuno sarebbe arrivato. Quello che per tutti poteva essere uno spettacolo straordinario, che stonava con l’inizio quotidiano, per quella ragazza era un divampare apocalittico, visto con occhi da cui fuoriusciva un pianto che racchiudeva quello di un’intera famiglia, di una storia decennale, di una tradizione custodita quasi come senso e perpetuazione della vita stessa.
Non c’è stato però solo il pianto. E non è mai stato un pianto di rassegnazione. Mentre portavano le sigarette alla bocca, gli scillesi dell’alba hanno potuto ascoltare – forse loro malgrado – le invettive e il grido di sfida: “Uscite fuori, bastardi, fatevi vedere! Uscite, uscite!”. Nessuno di loro avrebbe usato parole del genere, ancorché adirato e vinto. Fosse capitato a un uomo, si sarebbe chiuso in un orgoglioso silenzio, senza dare segni di sofferenza, senza dare “soddisfazione” alcuna agli esecutori del rogo. L’animo ferito ma nobile della ragazza, invece, ha scatenato tutt’altro, ha squarciato almeno per una volta quell’omertà dignitosa che, se si vuol essere onesti, rientra pur sempre in una mentalità troppo intrisa di mafia. E così tutti i presenti hanno assistito a qualcosa che in genere si etichetta come stucchevole o banale, frutto della sensibilità troppo accesa delle “femmine”. In quel caso, però, le urla, le lacrime, i pugni in aria e sul muro hanno assunto un irripetibile significato simbolico, in quanto generati da un atto di purezza di spirito, di profonde e assolute libertà e fierezza. La schiena di tutti i presenti, c’è da scommetterci, è stata percorsa da un brivido di inadeguatezza, di codardia. In quegli attimi e in quelli subito a venire, ognuno ha dovuto fare i conti con la sua Paura, con quella Coscienza che sempre, con tanta o poca intensità, preme sul cuore. Molti avranno continuato la loro giornata senza ascoltarla, ma le lacrime e la rabbia della ragazza di certo avranno avuto il merito di ridestare qualcosa che troppo spesso si preferisce assopire. Ed è nella intimità di questa stessa casa che è la Coscienza che ognuno si scopre uomo o qualcosa che all’uomo si avvicina.

Totì  

 

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