Solipsimi n. 4 – E la tempesta travolse tutto

 

E la tempesta travolse tutto

Questa è la storia di una redenzione. Questa è una storia di riscatto. Questa è la storia degli eventi straordinari avvenuti a Scilla nel maggio del 2011. Questo è l’inizio.
Erano giornate primaverili quando tutto cominciò. Non troppo calde, molto insignificanti. Come sempre, la vita era quella di sempre, le solite insoddisfazioni e prospettive assenti. Individualismo, c’era solo questo fra i giovani scillesi. Il loro futuro li ossessionava, il passato spesso si confondeva col rimpianto. Il presente invece lo vivevano così, senza grandi slanci, in un torpore innato e imparato a furia di esempi. Per non dire dei maturi e dei vecchi. Loro erano da tutta la vita dei semplicissimi singoli. Le strade della città non erano che lastre di cemento, non già simboli facili di unione o comunità, ma catrame duro verso casa, e la piazza era a pochi o molti metri da casa, il tabaccaio era a pochi o molti metri da casa, tutto era a pochi o molti metri da casa.
Da tanto tempo ormai, nel torbido colpevole di questa generale indolenza, alcuni avevano preso il controllo di tutte le strade, incaricati dall’inerzia universale di definire il senso e l’applicazione del concetto di comunità.
Anche il libero e prolifico esercizio dell’immaginazione non si spingeva troppo al di là della realtà vera, e di voglia di impegno oltre se stessi se ne riscontrava ben poca. Dappertutto era un continuo mugugnare, un lamento infinito che contagiava gli anni che seguivano gli anni, sempre sempre sempre, e in pochi riconoscevano la nobiltà del silenzio, della coerenza.
Nacque tutto all’improvviso. Nessun laboratorio, nessuna preparazione. Fu schiacciato un semplice interruttore e la carica partì, e in un crescendo di enfasi la tempesta si scatenò, fino ad arrivare a travolgere il maggio del 2011.
Bastò una frase senza autore, quattro parole messe lì a mo’ di proclama, a generare l’inimmaginabile, a muovere gli animi e gli intenti: “Buone nuove, stavolta. Insieme per la rivoluzione della normalità”. Furono un attimo, un gesto e un’idea, ma si impressero prepotenti nel corso della piccola storia del piccolo paese. Come un esercito che aspetta la tromba prima di sferrare l’attacco, il popolo più illuminato scagliò la pietra furibonda che diede avvio all’impresa.
Divennero migliaia, si chiamarono il popolo delle Buone Nuove.
Ma quali i protagonisti su cui riporre le speranze di una rivoluzione per cui non c’era storiografia, per cui non esistevano modelli di riferimento provenienti dal passato? Intanto un neonato idealismo cercava sodali, adesioni, cenni di assenso. Il più era fatto. L’idea di un futuro nel segno della comunità prendeva sempre più corpo, non già come dovere, ma come esigenza personale dei singoli. Fu la sublimazione definitiva di quell’individualismo comune a tutti ma ancora incompiuto. Piano piano cominciò a delinearsi un senso del tutto inedito di responsabilità, a conferma del mutamento avvenuto nella coscienza collettiva.
Nessuno ne conosceva il motivo, eppure questo cambiamento lo si riscontrava nei volti luminosi, nelle parole lungimiranti, nei propositi visionari ma fecondi, espressioni e atteggiamenti sconosciuti prima di allora. Mai a Scilla, nel tempo precedente la nascita e l’esplosione della Tempesta, si era udita la forza di un tale sogno, di una tale impresa comune.
Oltre a sconvolgere il corso previsto delle cose, ebbe questo merito, la rivoluzione del maggio 2011: riportò nella mente di ognuno il valore della speranza, che lentamente, lentamente, andava riducendo lo spazio entro cui avevano sempre trovato ospitalità le ombre scure del disfattismo, per secoli il vero e immobilizzante padrone della città.
I lavori per scegliere gli Innovatori, i portatori delle istanze della Tempesta, durarono il tempo utile ad un’unità di ferro. La rosa dei nomi fu pronta.
Un sentimento nuovo scosse i fatiscenti ma agguerriti palazzi del potere: la paura di perdere tutto.
Continua…?

 

Totì

 

 

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