C’ERA UNA VOLTA IN AMERICA…

La Little Italy di New York, più Little ogni anno

di Sam Roberts (tratto dal New York Times del 21.2.2011)

Little Italy  Quello che segue è un ampio stralcio di un lungo articolo firmato da Sam Roberts che il New York Times ha dedicato a Little Italy, lo storico quartiere italiano di New York.

Tante cose sono cambiate, ma rimangono ancora forti negli Italo-Americani il richiamo alla tradizione e una grande forza, Una forza che viene dalle proprie radici, ancora profondamente italiane.

Nel 1950, quasi metà degli oltre 10,000 Newyorchesi che vivono nel cuore di Little Italy si identificavano come Italo-Americani. Le strade strette brulicavano di bambini e risuonavano di melodici scambi in italiano tra gli uno su cinque residenti nati in Italia e i loro vicini di seconda e terza generazione.

Dal 2000, il censimento ha riscontrato che la popolazione Italo-Americana era diminuita al 6 percento. Solo 44 erano native Italiani, rispetto ai 2.149 di mezzo secolo prima.

Un sondaggio censuario pubblicato a Dicembre ha determinato che la proporzione di Italo-Americani tra gli 8.600 residenti nella stessa area di Lower Manhattan si era ridotto a circa il 5 percento.

E, incredibilmente, il censimento non è riuscito a trovare un solo residente che fosse nato in Italia.

La Little Italy che una volta era il cuore della vita Italo-Americana nella città esiste in gran parte come un ricordo nostalgico o nelle menti dei turisti che ancora ne fanno un posto da dover visitare nel loro itinerario a New York.

Il vecchio Ravenite social club della famiglia criminale dei Gambino al 247 della Mulberry è ora una boutique di borse e calzature. Di recente nel 2005, Vincent Gigante, il boss settantasettenne della famiglia criminale dei Genovese, vagò per il quartiere in accappatoio e pantofole fingendo di avere una malattia mentale per evitare il processo. Il mese scorso, più di 100 presunti membri di famiglie malavitose sono stati incriminati per reati federali; nessuno viveva a Little Italy.

Lo scorso anno, il National Park Service ha designato il Distretto Storico di Chinatown e Little Italy senza alcuna distinzione geografica tra i quartieri. I due quartieri hanno cominciato a organizzare un Marco Polo Day e una sfilata di Natale l’Est incontra l’Ovest.

Presto il Comune cancellerà ulteriormente i confini.

Seguendo l’esempio di tre uffici locali della comunità, la Commissione per la Pianificazione della Città approverà a Marzo la creazione di un Distretto per l’Incremento del Commercio di Chinatown, che ingloberà quasi tutto quel paradiso che una volta … aveva la più grande concentrazione di immigrati Italiani degli Stati Uniti.

“Adesso è davvero tutta Chinatown,” dice John A. Zaccaro Sr.,titolare della società immobiliare Little Italy, fondata da suo padre nel 1935.

Anche la Festa di San Gennaro che ancora raccoglie folle gigantesche a Mulberry Street, potrà essere in formato ridotto su richiesta dei disturbati commercianti di Nord Little Italy.

Il numero di residenti di discendenza Italiana nel quartiere ha cominciato a diminuire a partire dagli anni ‘60, quando l’immigrazione dall’Italia rifluì e gli Italo-Americani si arricchirono e si trasferirono in altre parti della città e nei sobborghi.

“Quando gli Italiani hanno fatto soldi si sono trasferiti al Queens e in New Jersey, hanno venduto ai cinesi, che adesso stanno vendendo a Vietnamiti e Malesi,” dice Ernest Lepore, 46, che, con suo padre e sua madre, è proprietario di Ferrara, un caffè-pasticceria che la sua famiglia aprì 119 anni fa.

Ancora, circa 30 bambini Italo-Americani nati nel quartiere vengono battezzati ogni anno nella Chiesa del Più Prezioso Sangue in Baxter Street. E alcuni residenti si aggrappano a un quartiere che è ricco di storia e cultura.

Degli 8,600 residenti contati dal censimento dell’American Community Survey nel cuore di Little Italy nel 2009, quasi 4,400 erano nati all’estero. Di questi, l’89 percento è nato in Asia. Nel 2009, un immigrato Coreano ha vinto un concorso per tenori sponsorizzato dall’Associazione Commercianti di Little Italy. Quello stesso anno, un’immigrata Cinese, Margaret S. Chin, è stata eletta a rappresentare il distretto nel Consiglio Comunale.

La Sig.ra Chin ha giocato un ruolo chiave nel galvanizzare le diverse fazioni per creare il distretto per l’incremento del commercio, che raggiunge il nord da Chinatown con due bracci che affiancano Mulberry Street e piegano ad arco verso di essa dalla metà di due strade parallele, Baxter e Mott.

“Abbiamo optato fuori” dal distretto, ha affermato Ralph Tramontana, presidente del gruppo di commercianti di Little Italy e proprietario del Sambuca’s Café. “Non pensavamo ce ne fosse bisogno, perché attraverso l’associazione dei commercianti già facciamo quello che fa un distretto per l’incremento del commercio.”

“Ho detto agli esercenti di Chinatown,” ha detto David Louie, che ha contribuito a spingere per il quartiere, “ ‘Dovete guardare a Little Italy e seguire il loro esempio — alle 8:30 di mattina li potete vedere che lavano i marciapiedi.’ ”

Pulizia, singolarità e bassa criminalità hanno ampliato l’appeal del quartiere, il che ha spinto in alto gli affitti.

Un monolocale di 74 mq in un palazzo a sei piani rinnovato al 145 di Mulberry è stato pubblicizzato di recente per $4,200 al mese. I proprietari di una due camere da letto su Grand Street chiedono $1.5 milioni.

Paolucci’s, un popolare ristorante che aprì sulla Mulberry nel 1947, si è trasferito a Staten Island dopo che il proprietario nel 2005 ha aumentato l’affitto a $20,000 al mese da $3,500, dice sempre Zaccaro.

Ancora, altri punti di riferimento di Little Italy non solo sono sopravvissuti, ma sembrano essere fiorenti grazie soprattutto ai turisti e a quelli che l’autore Nicholas Pileggi ha descritto decenni orsono come “Italiani del Sabato” suburbani — i “prosperosi figli in sovrappeso di padri immigrati più magri.”

Di Palo’s, un negozio di specialità gastronomiche italiane al 200 di Grand Street, avviò l’attività nel 1903, un decennio dopo il lattiero-caeseario Alleva al 188 della Grand, che si pubblicizza come il più antico negozio di formaggi italiano della nazione e che, come Ferrara, aprì nel 1892. I membri di quinta generazione della famiglia lavorano in tutti e tre i negozi e tutti e tre vendono i loro prodotti anche via internet.

Nel 1990, ha detto Lou Di Palo, suo padre malato consegnò le chiavi alla generazione successiva.

“Abbiamo deciso che prenderemo la nostra attività e torneremo indietro — ci concentreremo sul modo in cui i nostri nonni e i nostri bisnonni hanno condotto l’attività: basati sulla famiglia, si trasmette le relazioni con i clienti,” ha detto. “Taglieremo il vostro pezzo di formaggio e affetteremo il vostro prosciutto. Siamo ancora un negozio di quartiere, ma abbiamo preso l’iniziativa per rendere il nostro negozio una destinazione.”

“E’ venuto da un negozio di immigrati a un negozio Italo-Americano concentrato sui prodotti autentici dell’Italia,” ha spiegato il Sig. Di Palo. “Non ci aspettiamo che i nostri clienti vengano ogni giorno. Un grande cliente lo vedremo una volta a settimana, un cliente molto buono lo vedremo una volta al mese. La gente mi diceva, ‘Sei ancora qui!’ E io dicevo, ‘Finché continuerete a venire, sarò qui.’ ”

Articulo originale by ‘U NonnuBlog – C’ERA UNA VOLTA IN AMERICA…