PER NON DIMENTICARE

Ci sono ferite difficili a rimarginarsi, ferite che, anche a distanza di anni, al primo sentore che ne faccia riaffiorare il ricordo, riprendono a sanguinare. Una di queste per la mia città è il 14 ottobre 1996, quando Crotone fu vittima di una violenta inondazione causata dalle consistenti piogge che avevano interessato la provincia già a partire della settimana precedente e che determinarono piene e straripamenti di diversi corsi d’acqua della zona.

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Durante quella tragica mattinata caddero sul bacino del piccolo fiume Esaro circa 120 mm di pioggia (nella settimana si erano raggiunti complessivamente i 330 mm), che andarono così ad alimentare tutti i corsi d’acqua affluenti dell’Esaro provenienti dalla zona di Cutro. Nella località di "Stazione Isola Capo Rizzuto" si formò una violenta piena dello stesso fiume (in seguito calcolata con una portata di oltre 1000 m3/s) che raggiunse verso le ore 12,00 il rione "Gabelluccia", nella periferia occidentale di Crotone. Una massa di acqua e fango sommerse i primi piani delle abitazioni di Gabelluccia, estendendosi successivamente verso la zona industriale, dove interessò sia i fabbricati in riva sinistra, già allagati in precedenza per lo straripamento dell’affluente Papaniciaro, sia quelli in riva destra, presso il rione "Gesù". Dopo di che la furia distruttrice dell’acqua raggiunse anche il centro storico cittadino.

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L’alluvione provocò 6 vittime, migliaia di sfollati e danni assai ingenti: numerosi prefabbricati industriali furono spazzati via dall’acqua e la zona commerciale e industriale ne risultò pesantemente devastata. L’acqua raggiunse in alcune strade i quattro metri di altezza. Le conseguenze furono poi aggravate dal pesante abusivismo edilizio: i quartieri di Gabelluccia e Gesù erano infatti sorti nei dieci anni precedenti nelle zone di espansione del fiume. Furono distrutti quasi tutti i ponti, vennero colpite 358 imprese e con danni per 126 miliardi di lire. Fondamentale fu nei giorni successivi il costante aiuto di migliaia di volontari senza volto, ribattezzati “gli angeli del fango”, che diedero un contributo essenziale alle persone maggiormente colpite dal disastro.

La condivisione di questo triste ricordo vuole essere momento di riflessione nonché un monito per l’azione amministrativa della nostra Regione da sempre poco rivolta alla messa in sicurezza del territorio. Troppo alto, infatti, in Calabria il prezzo da pagare a causa di un uso dissennato ed incontrollato del territorio, dell’assenza di un’ oculata difesa del suolo e molto spesso anche della valutazione sull’impatto ambientale, sia per la realizzazione delle infrastrutture sia per lo smaltimento dei materiali da riporto.

Molte opere di difesa si mostrano troppo spesso inadeguate: fiumi e torrenti non sono mai stati messi in sicurezza, nessun piano contro il dissesto idrogeologico risulta essere mai stato attuato, nonostante gli allarmi più volte lanciati dall’Ordine dei geologi, da Legambiente e dalla Coldiretti.

Nella mappa italiana del rischio alluvione redatta dal servizio geologico nazionale, la Calabria si colloca al terzo posto dopo Piemonte e Lombardia. La storia lo evidenzia continuamente: oltre al disastro crotonese non è difficile ricordare nel 2000 le 13 vittime a Soverato, nel 2005 la frana che ha distrutto buona parte del Comune di Cerzeto (CS), nel 2006 l’alluvione di fango a Bivona (VV) che ha portato a 4 vittime, i morti delle ripetute frane sulla Salerno Reggio Calabria, tutte ferite ancora oggi aperte.

Eppure puntualmente dopo ogni alluvione vengono avviate le dovute richieste per lo stato di emergenza e per l’elargizione di adeguati finanziamenti, le quali, però, non danno mai seguito ad una corretta pianificazione né ad alcun riassetto idrogeologico del territorio.

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