GENERAZIONE BIMBOMINKIA

Bimbominkia (femminile:bimbaminkia).

Molti di voi l’avranno sentita spesso, altri ne ignorano il significato. Tranquilliziamo tutti: non è ‘na malaparola

Chi sono i bimbiminkia? Cosa vogliono i bimbiminkia? o forse dovremmo chiederci cosa non sono e cosa non vogliono.

Ma soprattutto: come faremo a salvarli da loro stessi, se non facciamo in modo che vogliano essere salvati, prima che sia troppo tardi?

Ecco un efficacissimo ritratto di questa generazione di giovani, succube ma anche vittima di quest’era tecnologica, in un articolo che abbiamo tratto dal sito www.terrearse.it e che per gentile concessione dell’autrice, la giovane giornalista reggina Letizia Cuzzola, con piacere pubblichiamo.

 

 

xl_16921148 Hanno le spalle ricurve. Sembrano Sisifo, con tutto il peso del mondo sulle spalle. Dritti solo in posa per qualche foto da postare su Facebook. Hanno tutto e niente, in vita finché nessuno stacca loro la spina del pc o spegne i loro cellulari. Giovani modelli già antiquati, novelli maratoneti impegnati in corse forsennate per mettersi in coda dietro l’ennesima vetrina. Primi amori devastanti nel loro vuoto emotivo, persi nella nebulosa di canoni estetici che non soddisfano. Mai all’altezza di qualcuno o qualcosa. Ho quindi sono. Non hai quindi non posso averti.

Attraversano la Vita senza sfiorarla, non la guardano neanche vuoi per timore vuoi per incoscienza, volesse Dio per pudore. Parlano di sesso droga e rock & roll mentre con una mano stringono una barbie alcolizzata e con l’altra l’ultimo iPhone o un joystick. Prototipi con il brand Mattel impresso sul coccige. Omologati e rispettosi delle normative CEE. Materiali biodegradabili. Come le buste dei supermercati che pieghi e riponi in un cassetto o ricicli per i rifiuti. Non esiste che qualcuno dica loro di no. Se lo fai sei un despota, diventi un nemico. Dicono sì a tutto, tranne che a se stessi. Tele bianche con il vuoto negli occhi, ti verrebbe la voglia di intingere un pennello in una tavolozza per mostrar loro che il buon Dio ha donato un intero arcobaleno per colorarci gli inverni dell’Anima. Sono autunni perenni, foglie caduche, frutti immaturi che aspettano che qualcuno li colga e li frulli per insaporire un cocktail di troppo per la loro età. Li vedi girare con le loro macchinette, specchi di una libertà che non avranno mai, troppo impegnati a cercare una nuova gabbia tecnologica in cui imprigionarsi. Social network come sale d’esposizione in cui appendersi come quadri a testa in giù, sculture mozze con le dita curvate dal tunnel carpale per le ore trascorse a tentar di acchiappare con gli occhi fuori dalle orbite realtà altrui.

Fissano gli orologi tentando di capire a cosa servano quelle lancette, cos’hanno da correre sempre intorno a se stesse, senza rendersi conto che fanno anch’essi lo stesso giro in una costante ripetizione di gesti, senza vie di fuga. Per noi la fuga era un piercing o un tatuaggio non autorizzato, il corpo che diventava un’opera d’arte per urlare esisto! per loro un oggetto da esporre o punire.

Parlano del passato come se ne avessero davvero uno, del presente al futuro e il futuro lo chiudono nel cassetto dei ‘lo farò’.

Passeggiano, macinano chilometri scrutando i coetanei. Come se fosse facile distinguere se hanno 14 o 20 anni, con le loro magliettine tutte uguali, come reclute di un esercito di mercenari dell’ovvio. Terrorizzati di poter mostrare le loro debolezze, la loro vera età, come fosse un peccato o un crimine vivere i giorni come tali e non come anni da dimenticare o odiare. Hanno fretta di crescere, di diventare adulti pronti a vendere l’anima al diavolo per riprendersi gli anni perduti.

Venerano come icone idoli di celluloide. Miti di cartone per fedeli di etere. Hanno paura di usare l’immaginazione, peccato originale da cui non trovano redenzione. Non guardano i cartoni animati: sono per bambini. Non guardano film d’amore: sono per i deboli. Ma consumano i polpastrelli e i telecomandi delle tv anelando un trono di cartapesta o una telecamera che riprenda il loro vuoto. Non parlano con gli adulti o con gli pseudo tali: troppo vecchi. Per cosa non è dato saperlo.

Hanno una loro lingua: neologismi per orrori ortografici. Non leggono, potrebbero scoprire che è un’attività piacevole. Girano con quegli aggeggi con cui i commessi sparano il prezzo sugli oggetti in vendita per etichettare chiunque. O con me o contro di me. Cristi inchiodati a croci autoprodotte, flagellanti alle fiere della vanità.

Ma sono fragili. Fragili come calici di cristallo con il piede instabile, come fiori dissidenti nella serra della Vita. Dovremmo abbracciarli forse, guardarli nel grigio dei loro occhi e spronarli a tirar fuori il colore. Ascoltarli noi figli di una generazione che non esiste, che hanno saltato e guardano dall’alto in basso. L’appellativo di bimbiminkia se lo sono guadagnati a pieno titolo e senza possibilità di scampo. Ma sempre bimbi sono. Insegniamo loro che soffiare alle nuvole non è una cazzata, ma un modo per vedere meglio il Cielo. Ma soprattutto insegniamo loro che Justin Bieber non è un cantante e la suoneria del cellulare a tutto volume non è musica.

                                                                                                                                                                                           Letizia Cuzzola