“I LOVE YOU” DI TERESA RIBUFFO: UN GRIDO PER LA DONNA E LA SUA LIBERTA’

trIn una sera reggina di fine Settembre, sospesa tra un’estate finita da poco e un autunno ancora poco convinto a prenderne il posto, una macchia di luce ha illuminato Piazza Italia.

Era formata dal pubblico che si è radunato ieri presso la piazza principale del capoluogo reggino e che –aderendo all’invito dell’artista Teresa D. Ribuffo- ha indossato indumenti di colore bianco. Il principe delle tonalità cromatiche costituisce infatti il simbolo più vistoso dell’audio installazione contro la violenza sulle donne curata dall’artista scillese, il cui titolo è esso stesso un simbolo “I love you”.

E’ l’espressione –di comprensione universale- con la quale si chiude ogni messaggio d’amore, oggi nella performance di Teresa Ribuffo si trasforma –attraverso la rappresentazione artistica- fino a divenire essa stessa simbolo della negazione di quel sentimento che la frase esprime.

Nel sito archeologico ipogeo di Piazza Italia, tra i resti delle antiche mura cittadine, sono installati frammenti di vita familiare quotidiana (rappresentati nei quadri dove il bianco illumina, abbaglia, colpisce) e, soprattutto, vi sono i resti di quello che fu un abito da sposa: il bouquet, il velo, una scarpa.

Quei segni semplici, essenziali, la colonna sonora squisitamente nuziale, in quella location, possono essere letti in modi molteplici. Qui non vi daremo i dettagli dell’organizzazione, li trovate nei links alla fine del post. Scriviamo questo post a caldo, appena rientrati dal vernissage e intendiamo solo trasmettervi quelle che sono state le emozioni che quei segni hanno suscitato in noi.

Sono i segni di un potere effimero, illusorio, ingannatore e, per questo, abbandonati di fretta. L’abito da sposa è il simbolo del potere della donna, regina per un giorno. Il giorno del matrimonio, è notorio, è il giorno della sposa, è lei la protagonista, al centro della scena. Tutti la guardano, la osservano in maniera esagerata, quasi malata, ne registrano (non con le telecamere o con le foto, ma con gli occhi, con la memoria) ogni minimo dettaglio. Alla fine però, sono proprio i dettagli ad avere il sopravvento sulla donna, sulla sua persona. Ecco allora che l’abito nuziale è la rappresentazione di tutti quei clichés, quei luoghi comuni di cui la donna vuole liberarsi, per poter essere apprezzata per ciò che realmente è, al di là delle apparenze, dei trucchi, del velo che ne alterano la percezione altrui fino a monopolizzarne l’attenzione.

scarpaL’urgenza di liberarsi da questo finto potere che nasconde la vera personalità della donna, è rappresentata dal particolare che più ha colpito i visitatori dell’audio-installazione: una scarpa, naturalmente bianca, abbandonata lì tra le pietre, semicapovolta, di fretta. Quella scarpa, ancora più del velo, è il segno della libertà ritrovata: la donna è scappata, scalza ma libera.

L’altra lettura che, a caldo, abbiamo dato all’audio-installazione di Teresa Ribuffo è legata proprio alla dolorosa questione della violenza sulle donne (a cui anche il Malasito ha dedicato spazio di recente) e al triste, assurdo fenomeno del “femminicidio”.

E’ un termine che, a dir la verità, non ci piace. Perché inteso come omicidio delle femmine. Femmina è un sostantivo che è riferito più agli animali che non al genere umano.

Perché abbia un senso, secondo noi andrebbe letto come “femmina di animale”, nel senso di donne che hanno avuto la sventura di trovare sulla loro strada veri animali, belve, che non possono non certo definirsi uomini.

Ecco che l’abito da sposa, la colonna sonora, le scene di vita familiare, tutto richiama alla mente i tanti –troppi- episodi di cronaca che vedono protagoniste le donne, vittime del proprio marito, fidanzato, compagno fratello o padre. Vittime cioè di coloro che avrebbero dovuto costituire uno scudo, una protezione e che, invece, si sono trasformati in dispensatori di morte.

Anche la location particolare, contribuisce ad aumentare le suggestioni e le emozioni. Quei resti di abito da sposa impigliati in quelle pietre antiche, in un anfratto sotterraneo non possono non richiamare alla mente gli anfratti, i posti bui in cui sono stati ritrovati i corpi di tante donne uccise. Ma sono anche gli anfratti, gli angoli bui, nei quali chi è vittima di violenza si rifugia, si chiude, credendo così di difendersi o, peggio, perché è debole.

Pochi giorni fa, proprio a questo proposito, l’Arcivescovo di Reggio Calabria, Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, ha affermato: << Ci sono donne che sopportano le violenze perché manca il coraggio della denuncia…contro una certa cultura ormai radicata bisogna reagire con tutte le forze.>>

Reagire, denunciare i responsabili, oltre che un dovere morale è anche un dovere civile. E quella che Teresa Ribuffo lancia con la sua performance è una denuncia forte, frutto della forza simbolica dell’arte.

Ma oltre che una denuncia, un invito alle donne ad uscire dalla rassegnazione, quello che proviene da questa audio-installazione è anche un messaggio di ottimismo.

Nel buio del sotterraneo il corpo della vittima non c’è, non ci sono né morti, né feriti. Ci sono invece, chiaramente visibili, i segni di una fuga, precipitosa. E’ il desiderio di ritrovare la luce della vita di ogni giorno, le cui immagini si succedono come tanti flash rimandati dal bianco. “I love you” è un grido verso la donna, chiamata per ritrovare la propria libertà.

E mentre torniamo in superficie, a respirare l’aria della notte settembrina che profuma di libertà, ci tornano in mente le parole di Papa Francesco: <<I grandi artisti sanno presentare con bellezza le realtà tragiche e dolorose della vita>>. E’ proprio vero e Teresa Ribuffo lo ha dimostrato.

Links utili:

http://www.teresaribuffo.it/

http://www.sosbeniculturali.it/

http://www.strill.it/index.php?option=com_content&view=article&id=175984%3Areggio-audio-installazione-di-teresa-ribuffo-contro-la-violenza-sulle-donne&catid=1%3Aultime&Itemid=291

http://www.calabriaonweb.it/2013/09/24/i-love-you-contro-la-violenza/

-Le foto sono tratte dalla pagina Facebook di Teresa Ribuffo